Cent’anni di Stelutis alpinis, il canto dei friulani

“Stelutis Alpinis”, la canzone piú sentita dai friulani, compie cento anni. Se ne sono ricordati quelli dell’associazione gli Stelliniani che ieri hanno inaugurato la mostra per ricordare l’autore, Arturo Zardini. Oggi, alle 13, la dirigente scolastica Anna Maria Zilli farà visita all’esposizione che resterà visitabile fino al 31 gennaio.
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L’apertura della rassegna, dedicata soprattutto agli studenti, ma che si vuole rendere visitabile al pubblico è stata preceduta dalla conferenza nell’aula magna del liceo classico, con relatori il nipote di Zardini, Giuliano Rui, che ha tra l’altro fornito i numerosi pannelli che raccontano la vita e l’opera del compositore, e Franco Colussi, noto musicologo.
L’iniziativa è stata promossa, d’intesa con la dirigenza scolastica, dagli Stelliniani, nell’ambito degli eventi organizzati per commemorare il centenario della fine della Prima Guerra mondiale. Conflitto che, oltre ad avere segnato drammaticamente la storia di questa terra, ha avuto proprio nell’edificio dello Stellini uno dei suoi epicentri, perché in quel palazzo, che era stato costruito per ospitare il liceo fondato nel 1808 e sito in precedenza in piazza Garibaldi, aveva preso stanza dal maggio 1915 all’ottobre 1917 il Comando supremo dell’esercito italiano.
L’inaugurazione dello Stellini nella nuova sede del Giardin Grande poté avvenire, pertanto, solo il 27 gennaio 1919. Fra poco più di un mese, quindi, sarà ricordato un altro importante centenario e, in quella circostanza, il sodalizio degli ex allievi presenterà il secondo numero dei “Quaderni Stelliniani”, un volume composto da sei contributi di carattere saggistico, che affrontano l’argomento della guerra spaziando dalla letteratura alla storia e seguendo un percorso che unisce il mondo classico all’età contemporanea.
Quello reso ieri a “Stelutis” – ho avuto modo di dire introducendo i lavori – ha voluto essere un tributo a una delle opere che meglio rappresentano l’anima dei friulani e il loro rapporto, spesso tormentato, con la storia, Quello, infatti, che si potrebbe definire un canto, ma anche un inno, una villotta, ma anche una preghiera, è l’accorato messaggio che un caduto rivolge alla propria amata, in cui il tema dell’amore e della comunione spirituale evocata da una semplice stella alpina hanno un’intensità così struggente, che il fragore della guerra viene sopraffatto da quel coro sommesso, la cui dolcezza si traduce in altissima poesia.
Anche la vicepresidente degli Stelliniani e curatrice della rassegna, Elettra Patti, ha voluto sottolineare come le note e le parole di questa composizione siano davvero l’emblema dell’identità friulana, avendo lei stessa compreso, quando ancor giovane era arrivata in Friuli ed era rimasta colpita dalla riservatezza della gente, che quella ritrosia era soltanto pudore dei propri sentimenti e che bastava intonare “Stelutis alpinis” per sciogliere quell’apparente freddezza e leggere la commozione negli occhi di chi ascoltava.
Dopo gli interventi della vicepreside Chiara Fragiacomo, che ha portato il saluto della dirigente scolastica Anna Maria Zilli, e del presidente della Sociedad friulana di Buenos Aires, Eduardo Baschera (che ha testimoniato come “Stelutis alpinis” sia tuttora il canto con il quale i friulani esprimono la loro nostalgia per la patria lontana) è stato Giuliano Rui a tratteggiare un ritratto del nonno materno.
Arturo Zardini era nato il 9 novembre 1869, quando Pontebba si trovava esattamente al confine tra l’Italia e l’Austria, tanto che una parte della cittadina era italiana e l’altra era austriaca. Turo Mulinar, come era chiamato in paese, per aiutare il padre nella sua attività, frequentò solo i primi tre anni delle elementari. In compenso, data la sua predisposizione per la musica, intraprese ben presto lo studio della cornetta sotto la guida del maestro E. Kolbe, direttore della banda locale.
Nel 1915, in seguito all’entrata in guerra dell’Italia, andò profugo prima a Moggio Udinese e poi, nell’ottobre 1917 dopo la disfatta di Caporetto, a Firenze, dove si era trasferito l’intero Ufficio comunale di Pontebba. Qui la nostalgia per la terra natale gli ispirò vari canti, tra i quali appunto, nel 1918, “Stelutis Alpinis”, che fu composta nella locanda “Al porcellino”, come ricorda una lapide apposta nel 2008 dal Fogolâr di Firenze. In quell’occasione il brano fu cantato da un improvvisato coro di pontebbani esuli, mentre la Società corale di Pontebba, diretta dall’autore, l’avrebbe eseguito ufficialmente solo due anni dopo (il 5 dicembre 1920) a Udine, nelle sale di palazzo Bartolini, già allora sede della Biblioteca civica Vincenzo Joppi. —
(* presidente degli Stelliniani)
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