Carew, una storia di successo

Da Palmanova a New York per ballare. Ora per tutti è la nuova Josephine Baker
Di Elisabetta Ceron

Gli ultimi due anni li ha dedicati al suo libro, Italiana, interessante, ha fondato un’associazione che si chiama Lidia Dice, prendendo parte a video musicali con cantanti del calibro di Alicia Keys, Pharrell Williams e Kendrick Lamar e vestendo i panni di Juliette in Mephisto di Luca Micheletti, in scena allo Stabile di Brescia e al Franco Parenti di Milano.

É Lidia Carew, friulana, ballerina e attrice transfuga per necessità prima a Milano e poi a New York dove ha completato la sua formazione all’Alvin Ailey Dance School. Testa rasata, corpo espressivo e potente e un’anima che anela di raccontare e raccontarsi.

Una sorta di agguerrita Joséphine Baker metropolitana, mai sazia di nuove esperienze e soprattutto con il desiderio di affrancarsi dagli stereotipi del piccolo borgo natìo, Palmanova, e rendere quello che lei definisce «la sua diversità» un’unicità.

A spingerla, la sua passione, quella danza che ha saputo trasformare in una piattaforma promuovendo se stessa a 360°.

«Ho appena fatto parte di una produzione di Spike Lee, ed è tutto cominciato dalla danza».

Diadora, Antonio Marras e Shamar Moore sono alcuni dei nomi per cui ha posato o fatto da testimonial, mentre in Italia è stata in tournée con la compagnia Mnai’s, ha lavorato per trasmissioni TV e reality show come Zelig o Skin Wars fino alla partecipazione come speaker ospite, alla Bocconi di Milano, di Challenge and Change, incontro sul tema “uguaglianza e percezione”.

- Lidia, a chi ha avuto necessità di ribadire: “Sono un’italiana con la pelle nera....”?

«Io parlo dal cuore e sono chi sono. Desidero essere vicina a coloro che sentono la minaccia dello stereotipo, voglio che mi vedano e che prendano coraggio per liberarsi da questo peso».

- É per questo che è nata Lidia Dice…?

«Sì, ed è un’organizzazione no-profit che ha come scopo ridurre le minacce sull’identità informando gli artisti riguardo al loro ambiente (danza, recitazione e formazione), promuovendo attività di workshop, discussioni, conferenze in scuole, palestre e altri luoghi, pubblicazioni e social media. Un’attività ad esempio è stata portare il mio coach da NYC a Udine per preparare un gruppo selezionato di trainer italiani e dei giovani atleti del Friuli Venezia Giulia».

- Quanto incide il marketing nella carriera e quali sono i rischi del “mercato virtuale”?

«Il marketing incide su ogni carriera professionale e ogni carriera professionale è incisa dal marketing».

- Com’è arrivata alla serie televisiva di Spike Lee “She’s Gotta Have It” presto su Netflix?

«Ancora rispondo alle chiamate last minute. Il venerdì Maija G. mi ha proposto il ruolo e il giorno dopo mi sono fiondata all’aeroporto di Venezia direzione NYC. È uno degli aspetti che più mi piace del mio lavoro, opportunità che non ti aspetti ma per cui ti prepari da una vita».

- Lei sembra desiderosa di spiegare se stessa.

«Perché? Io come altri artisti che conosco abbiamo semplicemente bisogno di sentirci al sicuro, meno vulnerabili».

- In che senso?

«Ho avuto esperienza in prima persona, so cosa vuol dire avere un attacco di panico prima di salire sul palcoscenico, e perché sentivo di dover dimostrare di essere abbastanza brava. Altri performer hanno condiviso con me storie simili se non le stesse. Apprezzano il fatto che ne parli».

- Perché, serve un “training” particolare per canalizzare la energia e potenziare la prestazione?

«In passato questi mezzi sofisticati non c’erano ma per chi aveva i requisiti il successo arrivava comunque. Io credo che tutti abbiamo bisogno di prendere possesso a pieno delle nostre capacità per avere successo in questo business. Il mio workshop intende dare delle opportunità a chi sogna il mondo dello spettacolo e il prossimo appuntamento è a Palmanova, Club Sunshine, il 21 e 22 Gennaio con professionisti del settore a livello nazionale ed internazionale. Penso che questo sia il mio modo di restituire quello che mi è stato dato.

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