Caporetto, parla lo storico: "Non fu vera sconfitta, a perdere davvero fu la classe dirigente"

Paolo Gaspari con i suoi scritti restituisce l’onore all’esercito. «I cittadini-soldato furono valorosi, non è vero che fuggirono»
Bonaventura Monfalcone-28.03.2014 Giovedì del libro-Roberto Bencivenga-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-28.03.2014 Giovedì del libro-Roberto Bencivenga-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

UDINE. Chi ha più cultura è più forte di chi è ignorante. Chi ha coscienza storica è più forte di chi, pur colto, non ce l’ha, perché ha forte il senso della propria identità nella comunità: è forte perché sa dove vive. La memoria storica e l’identità sono i beni più importanti per un cittadino.

Nel cercare la nostra identità di italiani abbiamo due vie: cercarla in fenomeni diversi dall’epica, come la cucina italiana, Eataly, la pizza, le trenette e i bucatini (“dove c’è Barilla c’è patria”), e in altri simboli degli immaginari collettivi: Dolce e Gabbana, Versace, Valentino (“l’identità veste Prada”), la mamma, le bellezze artistiche delle mille città (e delle mille piccole patrie).

Oppure trovare l’identità nell’epica della costruzione dell’Italia unita costata la vita a giovani ventenni nel Risorgimento e nella Grande Guerra – vista come il completamento dell’unità nazionale.

Chi ha più coscienza storica e senso di sé difficilmente si lascia soggiogare o manipolare. Chi non ce l’ha è vulnerabilissimo. Caporetto è uno stato mentale.

Caporetto è la battaglia più importante della storia, ed è sinonimo di disastro, ma soprattutto di crisi morale, d’inaffidabilità degli italiani, di fuga e di viltà.

Siamo pervasi dalla nostra inadeguatezza per questo macigno che ci portiamo sulle spalle. Caporetto archetipo delle classi popolari avulse dal “senso dello stato”: - poiché i soldati non sono altro che cittadini in armi, ne consegue che gli italiani sono infidi e vigliacchi, pronti ad arrendersi o a fuggire per sottrarsi al massimo sacrificio che si può chiedere a un cittadino, quello di rischiare la vita per la patria; - i soldati fecero bene a ribellarsi; sottolineando così la loro presa di coscienza di reietti in uniforme manovrati da generali inetti che non seppero fare altro che mandarli al macello con inutili attacchi frontali.

Si tratta evidentemente di interpretazioni con cui, con la mentalità di oggi, s’interpreta la nostra, decontestualizzandola, estrapolandola dal momento storico: è come se giudicassimo Leonida e i trecento spartani alle Termopili come militaristi fanatici.

In realtà gli italiani a Caporetto combatterono da valorosi e non si ritirarono fino a quando avevano munizioni o fino a quando non furono circondati da forze superiori.

Caporetto fu esattamente l’opposto di quello che finora le classi dirigenti, le vere responsabili della sconfitta, hanno propagandato.

A Caporetto i cittadini-soldati combatterono, furono alcuni generali e colonnelli che invece che condividere con gli uomini di cui erano responsabili il comune destino (essere cioè uccisi, o feriti o fatti prigionieri) preferirono mettersi al sicuro. Loro al sicuro, e gli altri ufficiali e i soldati a combattere fino all’ultima cartuccia.

«Lo scopo principale della storia è quello di conoscere se stessi», ha scritto un grande storico italiano. Delle 360 medaglie d’oro, 38 mila 355 d’argento, 59 mila 399 di bronzo e 28 mila 356 Croci di Guerra, la gran parte andò appunto ai neo-cittadini che si dimostrarono valorosi tanto quanto quelli di altre nazioni con molti più decenni di diritti di cittadinanza.

A questi si potrebbero aggiungere altri 25-30 mila atti di valore compiuti durante la ritirata non testati da alcuna medaglia, per cui sarebbero circa 170 mila i cittadini-soldati che compirono di più del loro dovere. Non c’è stato nessun momento della storia italiana in cui gli italiani di tutte le classi e di tutte le regioni profusero tanto valore.

Mancando la ricostruzione dei fatti reali, le leggende poterono continuare a essere alimentate con spiegazioni politico-sociali che nulla avevano a che vedere con la realtà. I castelli in aria che si costruiscono con poca spesa, sono costosi da demolire.

L’attuale vulgata, fantasiosa, a tutt’oggi c’impedisce di avere una piena coscienza di noi stessi. Sono proliferate interpretazioni dilettantesche secondo la famosa massima «Ci sono due attività pratiche in cui i dilettanti superano per presunzione gli specialisti: la strategia militare e la prostituzione». Purtroppo il cammino per far uscire Caporetto dalla leggenda e inserirlo nella storia basata sui documenti e non sul sentito dire è ancora lungo.

Senza la conoscenza delle questioni inerenti la storia militare non si possono infatti spiegare né una guerra, né, tanto meno, una battaglia, bensì il radicamento di una verbosa valutazione politica con effetti nefasti sulla coscienza di sé di un popolo e, quello che di più conta, sulla sua fierezza.

Adesso finalmente si può conoscere la realtà.

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