Brividi d’irredentismo in una sera udinese tra l’osteria e il Dorta

Il centenario della grande guerra.  C’è un’atmosfera strana nelle vie di Udine. È sera e i pochi che non hanno fretta di tornare a casa indugiano nell’abituale osteria. Intorno ai tavoli sono seduti uomini, nessun ragazzo, né donne

C’è un’atmosfera strana nelle vie di Udine. È sera e i pochi che non hanno fretta di tornare a casa indugiano nell’abituale osteria. Intorno ai tavoli sono seduti uomini, nessun ragazzo, né donne. Le parole che si scambiano a voce alta mi fanno intendere che la discussione si riscalderà e che probabilmente l’oste farà sgomberare il locale per non incorrere in dissapori con le ronde militari, pur avendo con esse un rapporto correttamente amichevole: in fondo, fanno il loro dovere per mantenere l’ordine pubblico e forse sono addentro anche nelle questioni della guerra, di cui tutti parlano come fosse già cominciata. Mi pare che per spegnere gli ardori non disdegnino qualche bicchiere di troppo che l’oste non lesina, curioso anch’egli di conoscere cosa stia bollendo in pentola.

«Sono anni che aspettiamo di regolare i conti con gli invasori e finalmente sta arrivando l’ora in cui faremo giustizia».

«Ma quale giustizia! Vai, vai giù nella Bassa e senti cosa ti dicono quanti vivono di là dello Judrio, il fiumiciattolo che ci separa dall’impero austriaco; sono molti coloro che non vogliono cambiare casa, perché con i Kruki stanno bene».

«Ma cosa dici! Sei un disfattista. Sono – anzi, siamo – tutti pronti a combattere per il ritorno all’Italia di quelle terre dove il Risorgimento non è arrivato».

Mi allontano dalla rumorosa congrega con la mente confusa più di prima, tuttavia cerco di raccapezzarmi nel dedalo della storia del nostro Paese, che dopo l’unione del 1866 è rimasto con il Friuli e la parte orientale della regione Giulia smembrati e abbandonati all’Austria. Non è tuttavia una novità il fermento che si diffonde da Trieste a Gorizia, a Udine e a Pordenone, città in cui ha messo radici un “movimento irredentista” che non perde occasione per stimolare i sentimenti di italianità non soltanto tra gli abitanti di oltre confine, ma anche con patrioti di Venezia, Milano, Genova e Roma. Si diffonde sempre più il malcontento nei confronti degli austriaci e l’eco delle manifestazioni contrarie alla loro presenza in terra italiana arriva sino al Governo viennese.

Francesco Giuseppe, nel 1900, aveva compiuto una visita ufficiale a Trieste e a Gorizia nella ricorrenza del quarto centenario dell’unione della principesca contea di Gorizia al dominio di Massimiliano d’Asburgo. A sua volta, Vittorio Emanuele III era venuto tre anni dopo in Friuli per inaugurare un’esposizione regionale e in quella circostanza era stato al centro di una serie di esaltanti manifestazioni, culminate con la sua nomina a “Signore di Trieste”: il sindaco della città, Michele Perissini, che aveva fiutato l’aria irredentista, trasgredendo alle regole aveva battuto la mano sulla sua spalla, mormorandogli all’orecchio: «Osi, maestà, osi...».

Era un esplicito invito a prendere qualche decisione per tracciare nuovi confini al di là di Trieste e della fascia litoranea. In quel periodo anche gli studenti austriaci di Innsbruck e di Graz protestavano perché il Governo di Vienna non aveva istituito l’università a Trieste.

Ce n’era abbastanza per indurre gli austria. ci a un giro di vite nei confronti degli irredentisti e degli italiani in genere; l’ordine di severità era stato preso alla lettera, per cui si era avviata una spirale di violenza e di odio reciproci. Il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Zanardelli, che aveva combattuto nelle guerre di indipendenza, temendo che la situazione degenerasse, aveva rivolto un fermo invito affinché si evitassero ostilità verso gli austriaci.

Attraverso piazza Umberto I, nel centro di Udine, e mi fermo per ammirarne la bellezza architettonica; sono con il naso all’insù quando sento qualcosa strusciarmi su una scarpa; non faccio tempo a muovermi che un gatto nero fugge d’un balzo lungo la scalinata emettendo un miagolio prolungato che nel silenzio mi provoca un brivido lungo la schiena. Questione di pochi attimi, subito mi ravvedo e mormoro sottovoce: «Questi austriaci rompono le scatole in tutti i modi». Completamente ripreso, mi rendo conto dell’istintiva avversione e che ho esagerato; se potessi chiederei scusa a Cecco Beppe, che, tutto sommato non è l’emblema del male. Però, se verrà la guerra...

Poco più avanti della piazza si riflettono sulla strada le fioche luci che illuminano l’interno di un’ampia stanza arredata con raffinato buon gusto; in un’insegna che sostituisce un quadro si legge il nome del locale: Gran Caffè Dorta; sulle poltroncine attorno ai tavolini sono seduti ufficiali del regio esercito che parlano tra loro a voce bassa, quasi si raccontassero vicende da tenere riservate; qualcuno fuma sigarette con evidente voluttà, qualche altro prima di accendere il sigaro passa e ripassa un pezzetto di stoffa sul monocolo che poi, soddisfatto, sistema sulla palpebra destra; ogni tanto una sonora risata rompe il monotono brusio. Hanno l’aspetto rilassato dei guerrieri che hanno vinto la pace.

Eppure in Friuli è impossibile non cogliere i fermenti della popolazione, perché in ogni occasione, anche banale, affiorano sentimenti patriottici dai quali emerge una forte volontà di riscatto delle terre irredente. Ma se gli ufficiali del regio esercito non sembrano preoccupati, nella capitale austriaca, invece, l’evolversi della situazione è scrupolosamente seguita e non se ne fa mistero: «O il Governo italiano – scrive un giornale viennese – crede di mantenere scrupolosamente nell’interesse del proprio paese i trattati stipulati, e in questo caso avrebbe dovuto farla finita prima d’ora con le provocazioni della piazza e le gesta dei mestatori, oppure giudica di dover seguire una nuova politica e allora abbia la franchezza e la lealtà di proclamarlo». Il riferimento riguarda la Triplice Alleanza, della quale l’Italia fa parte con la Germania e l’Austria sin dal 1882, anno della firma del trattato.

Gli austriaci ritengono che non c’è da fidarsi di un alleato come l’Italia, dove si manifestano ostilità nei confronti dell’impero. Lungo il confine orientale hanno incominciato a costruire trincee, rifugi e opere militari per essere pronti nel caso in cui scoppiasse un conflitto e dovessero difendere quello che ritengono loro territorio.

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