Brilla l’icona: Tina Modotti bellissima e rivoluzionaria

I 120 anni dalla nascita dell’udinese piú nota al mondo. Da borgo Pracchiuso a Hollywood, al Messico, a Mosca

UDINE. Io sono al di là del bene e del male, diceva la piccola grande Tina al suo uomo, Vittorio Vidali, il comandante Carlos della guerra di Spagna. Adesso erano lí, sulla nave che li riportava in Europa dopo l’espulsione dal Messico per motivi politici. Lei voleva tornare a Udine, ma la polizia fascista l’avrebbe arrestata.

Era ricercata da tempo e in borgo Pracchiuso, dov’era nata e cresciuta da bambina, non mise piú piede, fino alla morte, avvenuta nel 1942.

«Tina - scrisse Vidali nel libro che le ha poi dedicato, “Ritratto di donna” - non aveva malizia, era un’ingenua incorreggibile: non solo non era capace di odiare, ma non capiva nemmeno l’odio altrui a meno che si trattasse di odio contro l’oppressione, lo sfruttamento, la tirannia. Per questo non partecipò mai a lotte interne al partito comunista. Si limitò al silenzio e ad accettare le decisioni altrui, anche quelle piú ingiuste».

Il racconto di Vidali delinea la parte finale nella vita di Tina, quando da fotografa e artista, si trasformò in combattente rivoluzionaria, conservando in un angolino dentro di sé la nostalgia verso tutto ciò che può riempire la vita di ogni donna, come una casa, una famiglia, i figli. Passeggiava volentieri e quando calava la notte si divertiva a guardare le stelle. Una volta esclamò: «Com’è bello! Vorrei avere tanti figli quante sono le stelle».

Sono ricordi, frammenti, suggestioni per narrare Tina, la ragazza udinese di Pracchiuso che in questo 16 agosto compie 120 anni. Tantissimo tempo è passato, ma la distanza da un’esperienza cosí unica e luminosa non ha scalfito o appannato l’immagine stupenda, intensa, poetica, struggente in certe espressioni, della donna udinese piú famosa al mondo.

Destino toccato proprio a lei, figlia di una famiglia povera, una “irregolare” secondo il giudizio comune, che visse con dedizione e senza mai sottrarsi ogni momento della propria esistenza, attorno alla quale permane un alone di mistero nonostante fosse diventata personaggio quanto mai pubblico, muovendosi con magica bellezza nel mondo del cinema americano, dell’arte e poi del credo rivoluzionario.

Di lei ci restano le foto, le lettere appassionate, ma poco altro di personale. Il resto è raccontato da chi la conobbe, in particolare gli uomini che ebbe al fianco, come il suo maestro, Edward Weston. La conobbe nel 1921, quando lui aveva 35 anni, colpendolo come una tempesta. Insieme partirono in un viaggio verso il sole messicano senza compromessi, senza difese, aspirando solo a un cambio di pelle, di sensibilità, di tutto.

Edward e Tina vissero totalmente, senza artifici, ambiguità, ipocrisie, in una passione consumata fra gocce di sake e fotografia. Ma è impietoso il giudizio che poi Vidali diede di Weston: nevrastenico, puritano, indecifrabile. Cosí Tina, alla fine, rimase sola e furono gli altri a lasciarla, eppure era bella, dolce, amica, leale.

Negli ambienti perbenisti era considerata troppo libera, spregiudicata, indipendente. Venne criticata, arrestata, accusata per tutto questo. Lei però non cambiò restando la bambina libera nata in quella casa di via Pracchiuso, in una famiglia che le aveva insegnato solidarietà, altruismo e socialismo.

Papà Giuseppe, meccanico, aveva lavorato in Austria prima di emigrare a San Francisco, dove la famiglia poi lo seguí. Prima di diventare attrice a Hollywood e fotografa in Messico, Tina si era spezzata le mani da operaia nella fabbrica tessile Raiser a Udine, dove parlava solo il friulano e il tedesco imparato in Carinzia.

Salpò il 24 giugno 1913 per le Americhe e non fece piú ritorno. Sulla sua storia calò l’oblío finché Riccardo Toffoletti non riaccese negli anni Settanta l’attenzione con mostre, incontri, libri.

Impegno costante, paziente, intelligente per far rivivere l’inafferrabile Tina, «fragile e quasi invisibile come un pugno di nebbia», disse il poeta Pablo Neruda chiedendosi: ma io l’ho conosciuta o non l’ho conosciuta? E lei spiegava cosí quel suo viaggio straordinario dalla Udine del 1896 al Messico: l’arte non può mai esistere senza la vita.

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