Borghesan, Da Pozzo e Gallo nel microcosmo di Villacaccia
civiltà perduta
Luciano Santin
Foto dal crepuscolo di un mondo. “Un paîs e la sô int - Istantaniis di une identitât in trasformazion”, catalogo dell’omonima mostra allestita la scorsa estate dall’associazione “Colonos”, nel corso di "Avostanis", restituisce sguardi che trent’anni fa colsero la Piccola Patria nel momento in cui inisiava la dissoluzione della sua ruralità e insieme della sua coscienza. E propone altre visuali, capaci di interpretare nuove consapevolezze e nuovi modi di essere. All’interno del volumetto, dichiaratamente iconografico, ma arricchito da contributi, un prezioso scritto inedito di David Maria Turoldo, che assiste con inquietudine all’inaridirsi di una linfa antica e dichiara il suo sgomento.
L’iniziativa prima della mostra risale a trent’anni fa, quando il booster generato dal terremoto stava cominciando a sprigionare la sua positiva e inesorabile forza, aiutando la ricostruzione, lo sviluppo, ma anche la trasformazione e lo smarrimento del Friuli.
«Era l’88 quando ho pensato di documentare l’esistente, e ho invitato tre amici, fotografi di valore, Ulderica Da Pozzo, Giuliano Borghesan e Paolo Gallo, a fotografare il mio paese, Villacaccia di Lestizza. A esplorarlo, per fissarne la realtà, ma anche per rappresentarlo come metafora di una civiltà che stava rapidamente evolvendo non era chiaro in che cosa», racconta Federico Rossi, presidente dei Colonos.
«Siccome l’idea era quella di allestire una mostra e realizzare una pubblicazione, assieme all’amico Gianni Pressacco, abbiamo sottoposto le cento immagini a padre Turoldo, chiedendogli un commento. Ci è arrivato poco prima della sua scomparsa».
Poi, a seguito dell’elezione in consiglio regionale di Rossi, l’accantonamento del progetto, che è rispuntato lo scorso anno, coinvolgendo alcuni artisti, friulani e no: Claudio Cescutti, Manuel Fanni Canelles, Guido Morgavi, Paola Pasquaretta, Nicola Picogna, Marina Rosso, Špela Volcic.
«Dopo un workshop li abbiamo lasciati liberi di osservare Villacaccia attraverso l’obiettivo di una Polaroid. Un vincolo tassativo perché la foto a sviluppo istantaneo è irreversibile, impone di spostare l’accento sull’ideazione e sullo scatto, piuttosto che sulla postproduzione e l’elaborazione digitale».
Oltre alle immagini degli anni ’80 e a quelle di oggi, “Un paîs e la sô int” contiene una parte testuale, con al centro le parole di David Maria Turoldo che raccontano una contemplazione carica di struggimento per l’umile nobiltà perduta e le innocenze distrutte, ed esortano, almeno, a un salutare rimorso. Le affiancano due contributi, uno di Angelo Bertani, curatore della mostra e del catalogo, e l’altro di Angelo Floramo.
In quanto al presente, le interpretazioni visive di Villa Caccia hanno un focus forse inatteso, certo illuminante. Tutti e sette i fotografi, operanti l’uno all’insaputa dell’altro, hanno scattato immagini senza una sola figura umana. —
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