Boomers e millennials, lo scontro tra generazioni che mette in stallo il Paese
Il libro di Beniamino Pagliaro racconta la “guerra” tra padri e figli, chi aspetta la pensione e chi non ci pensa proprio. Ma oltre alle etichette, oltre le colpe di una classe politica e dirigenziale, serve un’agenda che porti cambiamento e benefici per tutti

La domanda è una: tra un panino con il salame e un avocado toast cosa scegliereste? Attorno a questo paragone, che può sembrare un po’ frivolo, assolutamente provocatorio e totalmente fuori fuoco, ruota il grande dibattito dei “boomers” contro i “millennials”, lo scontro generazionale tra i padri che stanno aspettano con la calcolatrice in mano la pensione e i figli che usano la stessa, ma sul cellulare, per capire come barcamenarsi tra scadenze e stipendi risicati.
Sì perché se da una parte c’è chi è nato negli anni 60 e si è goduto i frutti della grande crescita economica (i boomers, appunto), dall’altra ci sono i giovani (diventati adulti a cavallo del millennio) che hanno fatto della sperimentazione e dell’adattamento la loro cifra stilistica, culturale e lavorativa. Pane e salame vs toast con l’avocado. La metafora culinaria, ma anche un’attenta analisi dell’agenda che la politica dovrebbe dettare, è mutuata dal libro Boomers vs Millennials, 7 bugie sul futuro e come iniziare a cambiare (HarperCollins editore), di Beniamino Pagliaro, giornalista, caporedattore di Repubblica Torino, nato a Trieste nel 1987. Millennial, tout court.
Pagliaro, quando è nata l’idea di questo libro?
«Non c’è stato un momento preciso, si tratta più di un percorso fatto di note, appunti trascritti e messi in fila. Mi sono reso conto con il tempo che tutti parlavano di giovani e futuro, ogni governo che si insedia lo fa, non ultimo quello Meloni, ma oltre alla discussione ideologica non c’è nulla di concreto».
I numeri, in effetti, dicono che l’Italia appartiene alla generazione dei 50-60enni.
«Il fenomeno è chiaro se si guardano i dati. Poi da lì non si torna indietro. Senza le garanzie dei padri e senza il sostegno di un Paese in crescita economica, i millennials stanno pagando un prezzo molto alto. Siamo la generazione degli stipendi più bassi, delle poche certezze. Abbiamo vissuto una crisi che arrivava dall’America, una pandemia che ha riscritto il nostro modo di vivere. Siamo disposti a partire e subiamo una politica che coscientemente costruisce l’agenda guardando alle esigenze di un elettorato che qualcosa l’ha già costruito».
E perché i giovani non sono una reale priorità della politica o della classe dirigente?
«Perché è un tema sfuggente, di cui non si parla veramente. Si pensa ad arrivare alla fine della giornata, si punta sempre all’obiettivo a breve termine. Per un precario, ad esempio, è il contratto a tempo indeterminato, la lunga salita per la stabilità (che poi è una bugia anche questa). E arrivati in cima, cosa succede? Nulla. Ci si dimentica di chi deve ancora scalare la montagna».
Si parla di bugie “tramandate” dai padri ai figli e nel libro ne elenca sette. Quali sono le peggiori?
«Le più odiose sono la prima, la promessa, e l’ultima che è quella del cambiamento impossibile. In altre parole l’illusione di una meta da raggiungere, difficilissima per i giovani (pensioni, lavoro, casa da comprare, benessere da trasmettere) e l’inerzia totale nel voler cambiare le cose».
E si possono davvero cambiare le cose?
«Sì, la politica ce l’ha dimostrato in più di un’occasione, non ultima la parabola del Superbonus. Quando c’è la volontà dello Stato, si fanno scelte ben indirizzate. E i fondi si trovano. Va messo in agenda, va istituito un patto generazionale, bisogna guardare in alto per raggiungere la vetta e in basso per costruire il percorso».
E il conflitto con i boomers come si risolve?
«Il titolo del libro è una provocazione. Magari ci fosse davvero lo scontro tra boomer e millennials. Vorrebbe dire litigio, discussione. Ma qui la cosa peggiore è il silenzio: bisogna parlarne e avere il coraggio di mettere da parte i nostri istinti conservatori e conservativi».
Come regione di confine abbiamo un punto di vista privilegiato o soffriamo più degli altri?
«Trieste, ma più in generale tutto il Friuli Venezia Giulia, vive il confine come un naturale fattore di cambiamento. Qui il viaggio non è un elemento esotico. È crescita, confronto, lavoro. Scontiamo però il fatto di essere una delle regioni più anziane d’Italia. A questo fattore demografico dobbiamo rispondere con un’agenda che punti al cambiamento. Rendere il territorio aperto, accogliente a chi fa impresa, è il primo passo per trattenere i giovani e costruire una società che sta bene».
Tutto sembra passare per la crescita, allora...
«Esatto. E i benefici sarebbero distribuiti tra tutte le classi d’età. Ora dire “sei un boomer” è quasi uno scherzo, un gioco delle parti. Ma nella parola stessa boomer si celano le immagini di un’Italia che è esplosa, che è cresciuta, che ha innestato un cambiamento e migliorato le condizioni generali di tutti. A lungo andare, con i nostri stipendi, senza sviluppo, sosterremo il peso delle pensioni rinunciando ad altri ambiti di intervento sociale».
Ora un boomer chiuderebbe dicendo: “Beh e voi cosa fate per risolverla”?
«Abbattiamo l’inerzia. Discutiamo. Cambiare si può e si deve perché non è solo una questione di soldi che mancano o di etichette generazionali. I nuovi problemi non si risolvono con vecchie soluzioni. Ma con il coraggio della novità. Per loro, per noi e per chi viene dopo».
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