Benedetta Craveri racconta la contessa di Castiglione: appuntamento il 6 marzo a Udine

La scrittrice e docente è l’ultima biografa della figura poliedrica di Virginia Verasis. L’incontro alle 18.15 nella Torre di Santa Maria

Elena Commessatti
La scrittrice e docente Benedetta Craveri ospite di un incontro a Udine
La scrittrice e docente Benedetta Craveri ospite di un incontro a Udine

La contessa di Castiglione vista dalla sua ultima biografa: Benedetta Craveri. Giovedì 6 marzo a Udine alla Torre di Santa Maria (via Zanon) alle 18.15 la famosa scrittrice e docente, accurata penna di Adelphi, racconterà “La contessa, Virginia Verasis di Castiglione”, uscito nel 2021, in un appuntamento organizzato dall’Università Popolare Udinese, presieduta da Francesca Medioli.

Da dove è partito questo interessante, profondo e appassionato lavoro di ricerca?

«Discendo per parte paterna da una famiglia piemontese con tradizioni liberali e risorgimentali e i miei nonni parlavano di Vittorio Emanuele II, di Cavour, di Costantino Nigra, della Castiglione come se fossero usciti un minuto prima dal salotto. E quando, anni fa, dei colleghi storici mi chiesero di fare il ritratto della celebre contessa a un convegno torinese pensai che fosse una buona occasione per saperne di più. Fino a quel momento mi ero sempre interessata a figure femminili della Francia del Sei e Settecento ma dopo tutto la Castiglione aveva scelto come seconda patria Parigi e parlava e scriveva in francese. Non potevo però immaginare che mi stavo imbarcando in una ricerca archivistica improba».

Cosa ha scoperto di fondamentale attraverso le sue ricerche d’archivio?

«Alla morte della Castiglione a Parigi nel 1899, l’ambasciata italiana inviò un suo funzionario a bruciare tutti i documenti che conservava gelosamente sotto chiave, tra cui le lettere di Vittorio Emanuele II, di Napoleone III, di Cavour, di Nigra che testimoniavano il ruolo importante di diplomazia parallela, di seduzione e di spionaggio da lei avuti per indurre l’imperatore francese a sposare la causa dell’indipendenza italiana. I metodi impiegati che passavano attraverso la camera da letto non corrispondevano in effetti alla vulgata ufficiale del Risorgimento. Sopravvissero molti documenti conservati in una casa di campagna di proprietà della contessa in Liguria, andati all’asta da Parigi nel 1951 e finiti in mano di ignoti collezionisti, che erano rivelatori della sua personalità. Non erano i soli e ho ritrovato negli archivi del Ministero degli Esteri, dell’Archivio di Stato di Torino, degli Archivi nazionali francesi una grande quantità di lettere scritte e ricevute dalla Castiglione che ci illuminano sulla sua personalità che gettano una luce nuova sui suoi legami anche familiari».

Quali sono dunque le imperdibili novità riguardo alla vita della contessa?

«L’intelligenza politica di cui l’unità italiana ha tratto un incontestabile vantaggio, il suo amore per la natura e la sua difesa della bellezza del paesaggio ligure in anticipo sui tempi e, naturalmente, il suo incontestabile talento artistico».

In cosa le piace Virginia Verasis di Castiglione?

«La sua esigenza di libertà, la sua volontà di non avere padroni in un epoca in cui le donne erano assoggettate all’autorità maschile, la sua infinita spregiudicatezza, il suo disprezzo per le convenzioni che dovrebbero farne una icona del femminismo moderno. Ma la sua libertà sessuale, il suo individualismo, il suo disincanto, la sua ironia non rispondono al politically correct dei nostri giorni».

Secondo lei, quanto è stata una trappola infernale e quanto è stato un grande privilegio essere così sconfinatamente bella?

«Come i grandi narcisi, la Castiglione è stata prigioniera del proprio culto ma ha anche saputo dargli una dimensione artistica. Non solo ha raccontato se stessa e le mutevoli esigenze del suo io in centinaia di lettere che meriterebbero di essere pubbliche, ma ha cambiato la storia del ritratto fotografico. Ha subito capito che il tramite per immortalare la propria bellezza non era la pittura, ma l’oggettività dello scatto fotografico. Così per quarant’anni – caso unico – ha frequentato a Parigi il celebre studio Meyer e Pierson, facendosi fotografare centinaia di volte (il Metropolitan Museum di New York possiede quasi 500 sue foto), e decidendo delle pose da assumere, dell’abbigliamento, della scenografia, degli stati d’animo da interpretare. Un work in progress che l’avrebbe portata ad anticipare lo sperimentalismo surrealista e a concepire la messa in scena della propria bellezza come un’avventura artistica, prefigurando le performers contemporanee, a cominciare da Marina Abramovich che ha tratto ispirazione da molte sue foto. E come non ricordare che “l’io sono io” di Virginia è in anticipo di un secolo sul “that’s me” di Cindy Sherman?». 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto