Alexander Lonquich inaugura la stagione del Teatro Verdi: «Beethoven parla ancora al futuro»
Il celebre pianista e direttore apre i vent’anni del teatro di Pordenone insieme alla Münchener Kammerorchester con i Concerti n. 4 e n. 5 di Beethoven: «Musica rivoluzionaria, capace di rinnovarsi a ogni ascolto»

La nuova stagione del Teatro Verdi di Pordenone è pronta al debutto. Lo fa, nei vent’anni della sua fondazione, calando un asso inserito nella programmazione musicale a cura di Alessandro Taverna, nel quadro di un ampio cartellone, tra eccellenze italiane ed internazionali. Apre il sipario oggi alle 20.30, il celebre pianista e direttore Alexander Lonquich, tra i massimi esegeti musicali del nostro tempo, insieme alla Münchener Kammerorchester, compagine strumentale tra le più apprezzate d’Europa. Saranno insieme nell’esecuzione di due capisaldi del repertorio per pianoforte ed orchestra, gli ultimi due capitoli composti da Beethoven per questo organico. Capolavori che segnano, oltre ogni locuzione stereotipata, il passaggio dal classicismo al romanticismo. Ovvero il Concerto per pianoforte n. 4 in sol maggiore op. 58 ed il Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore op. 73 “Imperatore”. Abbiamo chiesto al maestro Lonquich dell’importanza di questi lavori.
L’anno scorso per Ecm è uscito il triplo cd con l’esecuzione integrale dei concerti per pianoforte di Beethoven interpretati da lei e dall’orchestra da camera di Monaco. Perché questa scelta?
«Sono pagine di storia musicale che conosco molto bene e che ho eseguito diverse volte. Per cui ho pensato di farne un’incisione discografica, insieme ad una formazione straordinaria, con l’obiettivo di rendere chiaro, secondo un ordine cronologico, l’evoluzione dello stile di Beethoven. Se le influenze di Haydn e soprattutto Mozart sono ravvisabili nei primi tre concerti, per un progressivo allontanamento, è negli ultimi due che si ha modo di cogliere a pieno il carattere rivoluzionario e indipendente del genio tedesco, come si avrà modo di ascoltare anche nel concerto a Pordenone».
Sarà sul palcoscenico nella doppia veste di pianista e concertatore. Come coniuga questi due ruoli?
«È un’esperienza che ho iniziato una quindicina di anni fa, alla maniera delle pratiche in uso nel Sette e Ottocento, ancora oggi efficaci e funzionali per determinati repertori. Permettono di mettere in atto con una certa flessibilità, un misto tra il solista e la spalla, l’attenzione e la resa dei dettagli, delle sfumature, in un sistema quasi cameristico. Lo stesso Beethoven, nella prima fase della sua carriera e prima della sordità, lo faceva. Una prassi condivisa anche da Mozart».
Un consiglio al pubblico. Con quale disposizione avvicinarsi all’ascolto di queste due opere?
«Per chi già le conosce, piuttosto che rimanere ancorati ad un modello interpretativo, consiglio di aprirsi alla scoperta di particolari che magari prima non si erano colti e sui quali noi abbiamo molto lavorato. Per chi invece non le ha mai ascoltate, questa è una valida occasione per conoscerle. È musica che ha aperto al futuro».
Come reputa musicalmente la nostra regione?
«È una realtà particolarmente vivace ed ho ottimi rapporti con diverse realtà. Ricordo ad esempio una residenza molto significativa nel 2023 con la Fvg Orchestra. È un ambiente prolifico con tanti progetti interessanti, mi piace sempre ritornare».
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