Ariella Reggio e la Storia di Argo: «Un viaggio pieno di emozioni»
Ariella Reggio è tra le protagoniste di “Argo”, una prima assoluta per Mittelfest: in scena domenica 27 luglio, alle 19, al teatro Ristori

L’esodo istriano è stata una dolorosa impresa spesso sospinta dai contemporanei ai margini degli eventi storici del Novecento. Se ne parla poco, il necessario quando s’incrociano gli anniversari. Il teatro ha accolto l’invito di Mariagrazia Ciani che scrisse un romanzo, “Storia di Argo”, tre generazioni di donne che si specchiano nel passato, e Serena Sinigaglia ne ha tratto liberamente una pièce dirigendo Ariella Reggio, un monumento della prosa italiana, Maria Ariis, attrice udinese di gran valore e la giovanissima Lucia Limonta, “prodotto” del Piccolo di Milano. “Argo” è una prima assoluta per Mittelfest, in scena domenica 27 luglio, alle 19, al teatro Ristori. La drammaturgia è di Letizia Russo e la produzione è a cura degli Stabili del Teatro Fvg e di Bolzano.
Signora Reggio, intanto come sta?
«Molto bene, sinché la salute regge. Le prove sono faticose e sa com’è alla mia età. Ma è un piacere stare sul palcoscenico con due attrici meravigliose e con una regista altrettanto amorevole. Fra l’altro è stata Serena a chiamarmi dopo le esperienze comuni alla Contrada di Trieste e allo Stabile di Torino, e questo davvero mi ha fatto felice. Come, peraltro, di tornare a lavorare con lo Stabile del Fvg, un luogo a me caro perché da quel palco triestino presi lo slancio attoriale tantissimi decenni fa».
La fuga dall’Istria di un popolo ferito è il cuore della rappresentazione, ma qui la politica è esclusa.
«Assolutamente sì, la lettura è molto poetica e nostalgica. Il libro della Ciani è pieno d’emozione, ma come accade in queste operazioni il palcoscenico si è avventurato in qualche licenza con l’approvazione dell’autrice, naturalmente. È un viaggio che scende nel tempo dopo la Seconda guerra mondiale: oggi quella bimba di cinque anni, costretta a lasciare la sua Pola e il suo cane York, ha più o meno la mia età. York come Argo, il fedele amico di Ulisse, simbolo di casa e di fedeltà. Con tutta la sensibilità che emana la storia, questo diventa inevitabilmente un percorso universale».
I giovani ne sanno poco se non nulla di quella tragedia.
«Infatti è così. Nella finzione, come mia nipote, ma pure nella vita. I ragazzi, in verità, la storia non la conoscono. Però qui è giustificata proprio perché è il sentimento a risaltare e non servono le precisazioni. ».
Lei ha un rapporto “eterno” con la prosa e appartiene di diritto a quella generazione di fenomenali attori, quali sono stati Gianrico Tedeschi, Ernesto Calindri e Franca Valeri, rimasti in scena oltre i novant’anni. La Valeri anche oltre i cento.
«Non sono la sola, sa. Il teatro tiene in vita. Nei periodi più bui il contatto pubblico mi aiutò tantissimo. Finché mi vogliono e il cervello tiene io ci sarò. Ah, vorrei ricordare l’efficace metodo della Sinigaglia: lei insiste affinché la parola abbia un senso preciso, un suo valore, in un mondo altresì favorevole alla superficialità».
Di Giorgio Strehler, con il quale ha lavorato, che ci dice Ariella?
«Una volta soltanto, purtroppo, è bene precisare. Mi era stata assegnata una piccolissima parte nella “Santa Giovanna dei Macelli” di Bertolt Brecht. Lui mi voleva bene perché ero anch’io triestina. Avevo due battute, ma non dimentico le volte che mi fece provare e riprovare, mamma mia! Proprio perché quelle parole, si diceva prima, avessero un peso nell’armonia della rappresentazione. Era il 1970, giusto per dare una data a quell’evento indimenticabile».
Un altro caposaldo della sua lunghissima carriera?
«Senz’altro è stato Francesco Macedonio, uno che non appariva volentieri e aveva la stessa scuola di Strehler. In questo lavoro ho individuato alcuni riferimenti ai miei grandi maestri».
Ariella Reggio è anche nel cast dell’ultimo film di Greta Scarano, “La vita da grandi”, 2025, appena sfornato.
«Oh certo, una piccola parte. Il cinema l’ho incontrato tardi. Sa com’è, è il teatro il vero amore».
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