Andrea Maggi: «Ritorno al passato nella scuola dei ’60»

Raidue ci prova a sradicare gli smartphone dalle mani degli sdraiati del Duemila (che poi sono i teenager del Novecento), obbligandoli a un impensabile compromesso: penna e calamaio.
Comunicazione del paleozoico per gli svelti manovratori tecnologici, certo. La singolar tenzone tablet-quaderno diventerà materia di studio, o reality che dir si voglia, dal 2 gennaio in prima serata sul secondo della Rai, canoniche 21.20.
Il collegio - così s’intitola il format - è marchiato Magnolia e s’affaccerà sul Paese a inizio anno col piglio d’innovare il parco programmi, sebbene il copione rientri nella solita esposizione di facce e corpi seguiti a vista dall’occhio meccanico. Al primo morso virtuale, però, il Collegio non sa affatto di Grande Fratello: è più esperimento pedagogico che cuscinate fra nullafacenti. Il Virgilio scelto per un tour in assoluta anteprima è lo scrittore e storico pordenonese Andrea Maggi (autore di Il sigillo di Polidoro e di Morte all’Acropoli) calamitato, quasi a sua insaputa, nel meccanismo televisivo per indossare la familiare maschera di insegnante di italiano e latino, essendo lui un prof vero del Balliana-Nievo di Sacile.
- Maggi, ci aiuti lei in questo viaggio di conoscenza. La trasmissione è rimasta volutamente sottotraccia e vorremmo saperne di più. Dunque. Primo: come ci è finito là dentro?
«Ah, guardi. Nei modi di un romanzo. Mi arriva una mail: caro professor Maggi le andrebbe di essere provinato per un nuovo reality bla bla bla. Penso subito all’amico Alfonso. Uno che di burle si alimenta. Già una vita fa mi illuse con un’assunzione a tempo indeterminato in un quotidiano veneto, propormi addirittura un passaggio televisivo lo avrebbe reso immortale. Invece, no. Tutto incredibilmente autentico».
- E come l’hanno beccata?
«Credo dopo infinite ricerche di volti adatti all’epoca. Dico, eh. Non so e non l’ho voluto nemmeno sapere quando mi sono trovato di fronte la commissione Magnolia. È entrata una studentessa rognosa che mi ha davvero sfiancato. Si aspettavano reazioni. Finché ho tirato un pugno sulla cattedra, di nervoso autentico. Stregati. E mica ho recitato, mi creda».
- Andiamo al sodo. Lo schema è: diciotto studenti dai 14 ai 17 anni costretti a vivere le medie dei Sessanta con tutti i crismi richiesti. Quattro puntate.
«Esatto. Definirlo reality non è corretto. Più precisamente docu-entertainment. Per un mese i ragazzi hanno davvero fatto sparire dalla mente le comodità contemporanee interagendo con le metodologie dei loro nonni. No telefonino, no tablet, no diavolerie. Nemmeno nelle pause. Una telefonata a settimana alla famiglia. Duri e puri. D’altronde nei Sessanta le medie erano scuole impegnative, non per tutti. C’erano l’esame di ammissione e quello finale. Chi non se la sentiva deviava subito nel mondo del lavoro e fischia finita».
- Le sue lezioni, quindi, rispettano le direttive ministeriali di allora?
«Proprio così. Secondo la riforma Bottai del 1940. Ci siamo preparati accuratamente. Io e i miei colleghi, naturalmente».
- Location dell’operazione?
«Il convitto Celana di Caprino Bergamasco. Una struttura monumentale in parte restaurata per l’occasione. Studiò in quella scuola anche Papa Giovanni XXIII».
- Sinceramente, il più possibile, Maggi: trova l’esperimento utile?
«Recuperare il rigore di un tempo, tanto male non fa. Siamo disabituati alla sana severità. Concediamo sin troppo. D’altro canto, nei Sessanta non si perdonavano certi disturbi, come la dislessia, per esempio. Ti sbattevano sulla zucca e senza pietà il cappello d’asino. Fine della storia. Ora si può ugualmente puntare in alto con una strategia mirata. Spielberg era dislessico, per dire».
- È pronto per la popolarità?
«Oddio, non mi faccia pensare. No, non sono affatto pronto».
- Si prepari.
«Ci penserò».
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