“Alma” di Federica Manzon nella cinquina del Campiello: «A Trieste ho scoperto l’Est»
La scrittrice pordenonese tra i finalisti del premio veneziano con Mari, Trevi, Franchini e Santoni. Opera prima a Palpati

La scrittrice friulana Federica Manzon con “Alma” (Feltrinelli), svetta nella cinquina finalista della 62ma edizione del Premio Campiello, unica donna tra l’altro rispetto al resto della rosa. Con lei, scelti dalla prestigiosa Giuria presieduta da Walter Veltroni, a contendersi la “vera da pozzo” saranno Antonio Franchini con “Il fuoco che ti porti dentro” (Marsilio), Emanuele Trevi con “La casa del mago” (Ponte alle Grazie), Michele Mari autore di “Locus desperatus” (Einaudi) e Vanni Santoni con “Dilaga ovunque” (Laterza). Fiammetta Palpati con “La casa delle orfane bianche” (Laurana) è, invece, la vincitrice del Premio Opera Prima.
Manzon, classe 1981, laureata in Filosofia proprio a Trieste, ha alle spalle un’energica attività letteraria. Ha esordito con “Come dirsi addio” (Mondadori) nel 2008, a cui hanno fatto seguito altri quattro romanzi. “Di fama e di sventura”, uscito per Mondadori nel 2011, ha già meritato il Premio Campiello Selezione Giuria dei Letterati, romanzo che inoltre ha guadagnato altri importanti riconoscimenti come il Rapallo Carige.
Dopo di che la sua attività non si è fermata, oltre a “La nostalgia degli altri” (Feltrinelli), nel 2020 la scrittrice ha pubblicato il romanzo breve “Il bosco del confine” (Aboca), che è una sorta di preludio al romanzo giunto in finale al prestigioso premio veneziano. Federica ieri, al momento dell’annuncio, si trovava in viaggio verso il sud. Dice di aver ricevuto la notizia mentre era su un treno che l’avrebbe condotta a Tropea, in Calabria, per presentare appunto “Alma”. «Sono felicissima, felicissima – ripete – di essere in finale a questo premio, soprattutto perché il Campiello è un riconoscimento che si fa a Nord Est e quindi mi è particolarmente caro». Che a Manzon stia caro il nord-est non è una sorpresa. Ne sono testimoni la sua vita e la sua opera. Vive infatti tra Milano e Trieste, ma è a Trieste che trova sempre rifugio la sua poetica. Tutti i suoi titoli infatti, hanno come sfondo il capoluogo giuliano. Se nei precedenti il mare e il Carso del nord-est sono una sorta di scenografia naturale, è in “Alma” che la città diventa la vera protagonista del testo.
Il romanzo infatti narra la complessità dell’identità giuliana, lo fa intrecciando memoria e storia. Certo ci sono dei personaggi principali, Alma, Vili, ragazzi che attraverso le loro vite ce ne narrano molte altre. Ma è Trieste la star, vista da innumerevoli prospettive e sensibilità, la sua storia, le sue diverse lingue e occupazioni, la sua italianità sempre sul punto di collassare verso altre frontiere. Per cui è naturale, per chi vive da queste parti, avere un padre sloveno. O istriano. Così come è altrettanto semplice innamorarsi di un serbo. E intanto Alma ci trascina dentro i luoghi di questa affascinante terra, dai caffè storici al porto vecchio.
Dal cimitero di Sant’Anna a Barcola e poi più in là, fino alle Isole Brioni, a Belgrado. D’altra parte Federica non ha mai nascosto un’altra passione: «La letteratura dell’est europeo – osserva – rimane un mio grande amore. Credo si sia stato un mondo che ha formato la nostra tradizione. C’è anche da aggiungere che provengo da una regione più vicina all’Est che alla tradizione letteraria italiana. Anche oggi è un mondo ricco di questioni, tipico dei paesi a lungo dominati dalle ideologie, che di conseguenza hanno una vitalità letteraria più alta».
È indubbiamente uno dei motivi per cui l’Est è cuore e motore della scrittura: «Dire Trieste per me significa dire tantissime cose: l’altrove, il confine con tutta l’attrazione per la fuga, il mare, il diverso. Qui c’è un tessuto più conflittuale che multiculturale ed è quindi una porta interessante per capire mondi più ampi del quadrato in cui viviamo».
Insomma Alma è Trieste: «E le contraddizioni che la animano. È anche il cuore da cui è partito il romanzo perché racchiude l’inquietudine di chi sente di essere fatto di tante parti e fatica per trovare un modo per tenerle insieme. Soprattutto c’è una geografia che segna l’andare e tornare dei protagonisti, il loro essere sempre sedotti da un altrove».—
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