Alle radici della nobiltà: il ritratto delle donne di casa de Claricini
In un libro le figure femminili del casato arrivato in Friuli nel 1200: un volume di storie perdute e ritrovate fra Cividale, Padova e Gorizia

UDINE. Arrivano da Bologna e si trasferiscono a Cividale del Friuli, Gorizia e Padova. Sono i de Claricini, anzi “le” de Claricini Dornpacher, perché sono donne quelle di cui ci occupiamo. Entrano nella storia e la cambiano attraverso alleanze, matrimoni, progettualità, beneficenza.
Ci riferiamo ad esempio all’ultima discendente, Anna Maria (1923-2004), pediatra padovana che con una cospicua donazione contribuisce alla costruzione della Città della Speranza, istituto pediatrico di eccellenza della propria città.
Ma prima, nell’importante genealogia, ci entra Giuditta, (1891- 1968), storica del tessuto, che con lascito testamentario darà vita nel 1971 all’importante ed attiva Fondazione De Claricini Dornpacher. Ed è proprio in quest’ultimo luogo, nell’omonima villa a Bottenicco di Moimacco in provincia di Udine, che oggi avverrà alle 18 (per info 0432 733234) la prima presentazione di <CF1002>Donne de Claricini Dornpacher. Dal Quattrocento al Novecento</CF>, a cura di Emanuela Accornero, Liliana Cargnelutti, Oldino Cernoia, Stefano Cosma. Fertile il sottotitolo “Storie perdute e ritrovate tra Cividale del Friuli, Gorizia Padova.”
La pubblicazione, edita da Forum (168 pagine, 35 euro), è l’eccellente risultato di un lavoro a più mani che riorganizza questa storia familiare dal punto di vista femminile. Molti gli inediti che spuntano tra la carte, dentro una vasta ricerca condotta tra memorie e archivi.
Un lungo e corposo progetto; un lavoro di squadra che mette d’accordo -e insieme- più visioni autoriali e fa parlare le carte.
Vengono alla luce storie dimenticate di donne, che hanno agito e trasformato, dal Quattrocento a oggi, i respiri biografici di chi ci sta intorno, e ci stiamo riferendo a contesti di famiglia certo, ma anche monasteri, aziende di proprietà, attraverso attività intellettuali e imprenditoriali.
Prove di determinazione. Come giustamente osserva Linda Borean nel suo testo: “la sfida, brillantemente superata, era quella di far rivivere personalità testimoniate prevalentemente da atti amministrativi, patrimoniali e dotali, o dai testamenti dai quali talora traspaiono elementi affettivi ma anche determinazione e capacità professionale.”
E così scopriamo la biografia di Dorotea Claricini, vissuta tra il 1435 e il 1493, che a seguito del matrimonio con un esponente del nobile casato de Portis, si dedica alla farmacopea sviluppando farmaci indispensabili per la cura degli occhi. Come annota Liliana Cargnelutti: “Dorotea intenta a produrre colliri ha anche una sua ricetta per gli occhi che lacrimano, come pure per quelli arrossati e gonfi”.
Dorotea nominerà la sua invenzione “aqua de ochi”, e lei stessa ne farà uso, quando piangerà la scomparsa del marito, “per gra(n)de pasion”, come decritta la storica Cargnelutti nelle pergamene del Quattrocento.
Questo è solo un esempio tra i tanti, che emergono come giochi pirotecnici dalla lettura non facile delle fonti dell’epoca. Tra “le” de Claricini, nel contributo di Davide Pillitu, spuntano dal Seicento tre monache a Cividale del Friuli. Dorotea, Eritrea, e Maria Teresa diventano tutte badesse presso il monastero millenario di Santa Maria in Valle.
E poi sono “madri e figlie”, come racconta nel suo saggio l’archeologa e storica Emanuela Accornero, e poi compare il ramo goriziano, riletto dal saggista Stefano Cosma, con Cecilia Claricini Locatelli (1827-1899) e la figlia Ernestina Formentini Claricini (1846-1920), cui si deve fra l’altro la fondazione di un Comitato di Dame per aiutare i soldati austriaci feriti nelle Guerre di Indipendenza. E poi c’è Carlotta (1831-1912), descritta da Daniele Scarpi, “esempio di forza femminile e di resilienza”.
«Spesso vissute all’ombra della famiglia e in particolare delle figure maschili – sottolinea Oldino Cernoia, presidente della Fondazione – le donne de Claricini permettono invece di aggiungere nuovi importanti tasselli alla storia del casato». E così scopriamo, tra immagini e parole, anche Beatrice (1897-1977), la cui generosità filantropica permetterà di costruire nuove sedi dell’Istituto per il ricovero degli anziani nel Padovano.
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