Albanese: «Amo il Fvg, vado a pescare sull’Isonzo con due amici friulani»

L’attore racconta il suo ultimo film “Un mondo a parte”: «Quanto freddo e disagi sul set, ma siamo soddisfatti»

Gian Paolo Polesini

Il suo “mandi” ci sorprende a inizio telefonata, ma poi vien fuori che Antonio Albanese il militare l’ha fatto in Friuli. «Battaglione logistico Isonzo, spiega l’attore - otto mesi a Tricesimo, 1983. Ricordo anche la prima tournée di “Uomo”, a Udine negli anni Novanta, o quella di “Giù al Nord”, 1997, al Teatro Nuovo. Insomma, c’è una lunga storia con voi friulani».

Una chiacchiera con uno dei più amati trasformisti della nostra commedia, oggi come oggi, ha un senso cinematografico: “Un mondo a parte” di Riccardo Milani con Virginia Raffaele, dopo una settimana di programmazione, è diventato un caso in Italia: primo al box office e protagonista di un incessante passaparola da parte del pubblico che ha dimostrato affetto nei confronti di questa storia dolce ambientata nell’alto Abruzzo e generosa di sentimenti.

Antonio, sorpreso da tanta tenerezza?

«Ripaga il nostro lavoro, mi creda faticoso, ma affrontato con passione da parte di tutti. Un piccolo film che racconta una altrettanto piccola comunità di montagna con una sola classe elementare riempita di (pochi) bimbi, un numero insufficiente a garantire l’apertura. Il ministero è inflessibile e il destino è uno soltanto: chiudere. È chiara l’evidenza del messaggio: come affrontare il peggio? Ecco, ciò che mi piace rimarcare di quest’opera è la capacità di reazione di fronte alle difficoltà, un esempio per l’intero Paese. Dobbiamo imparare a reagire. E assieme viene più facile».

In realtà questo è il tipico (raro) caso in cui sullo schermo c’è una porta immaginaria per entrare dentro il film. E farne parte.

«La partecipazione non è solitamente garantita. Se poi accade è bellissimo. Mi auguro che molti spettatori ci facciano compagnia tra i banchi e per un corale inchino a tutti i maestri che in alcune realtà difficili lottano per dare un futuro a chi, spesso, non ha nemmeno un presente. E da dove partire per rinascere se non dalla scuola primaria? Dall’educazione si costruisce il domani».

Dall’idea di Milani alla realizzazione. Certo che lassù fra i lupi e la neve non dev’essere stata una passeggiata di salute.

«Abbiamo sofferto, mi creda. Con la consapevolezza, però, di arrivare in fondo, nonostante il freddo, i disagi di girare a 1400 metri e di avere il novanta per cento di attori improvvisati, fra i bambini e alcuni paesani che hanno affrontato la cinepresa. Ogni ciak non è mai stato buona la prima. Alla sera arrivavamo stremati, sebbene felici di certe scene nate dalla magnifica spontaneità del gruppo. Diceva Ionesco: “Tutti possono fare gli attori, a parte certi attori».

E chi vi ha trascinato proprio lassù?

«Il regista. Lui ha una casa da quelle parti e conosce bene la zona. Una vicenda analoga di una classe in pericolo Riccardo l’aveva letta su qualche giornale e così ha unito i punti e ci ha trascinati nell’Abruzzo più affascinante».

Posso dire? Sorpresi dalla Raffaele, che abbiamo tutti applaudito in vari personaggi, soprattutto comici, ma questa è davvero una gran prova d’attore.

«Virginia è una lottatrice nata e sostenuta da una passione infinita. Ha imparato il dialetto abruzzese, che poi è un intreccio fra il thailandese e il valdostano. Con pazienza è riuscita a possederlo come fosse una di loro. E tutti noi stupiti da tanta agilità nella recitazione. Fantastica. E lo sono stati pure i bimbi, splendidi nell’entrare in questo meccanismo difficile qual è il cinema. Oddio, ogni tanto anche loro facevano i capricci e dovevi raccogliere la pazienza».

La fatica è sempre ripagata?

«Non sempre. A noi è tornata indietro sotto forma di gioia nel vedere il pubblico felice in sala. Quale soddisfazione più grande di questa? Io non improvviso mai. Per “Cento domeniche” ho ascoltato decine e decine di vittime, ho studiato ogni dettaglio. Per dire di un recente film, ma la pratica vale per qualunque trasformismo comico o drammatico. Lavoro, lavoro, lavoro».

Sappiamo di una sua incursione come pescatore sull’Isonzo. D’altronde il suo primo film, non a caso, è stato “Uomo d’acqua dolce” (1996).

«Adoro pescare a mosca sul fiume. Pratica difficile, ci vuole un grande allenamento. Ricordo che fui accompagnato da due amici friulani, uno si faceva chiamare il “Maestro”, tanto per dire quanto fosse bravo. Una trota bella grossa finì nel cesto. Che soddisfazione! E che posti…».

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