«Al mio primo comizio spuntò Vittorio Vidali»

Cesare Sartori, nato a Udine il 25 settembre 1949, laureato in Filosofia a Trieste e dal ’78 giornalista in Toscana, per lunghi anni alla Nazione, è tra quanti hanno vissuto e fatto il ’68 in Friuli.
di CESARE SARTORI
Quando si cresce si perde l’innocenza, d’accordo, lo sanno tutti, ma era indispensabile perdere anche la speranza?
Il mio ’68? Cominciò quasi in sordina dopo l’estate dell’anno seguente, ma per me dispiegò a pieno i suoi benefici effetti solo nei quattro anni successivi. Tecnicamente parlando il mio fu un ’68 senza cortei, manifestazioni, occupazioni, contestazione, barricate… L’unico coinvolgimento fu la partecipazione alle riunioni di un Cub (Comitato unitario di base), antenato di Lotta continua, in un “antro” gelido e desolato in Borgo San Lazzaro, che si concludevano regolarmente nel bar “da Cita”. La delusione e l’insoddisfazione per quell’esperienza nonché l’ambiguità di certi personaggi che dirigevano il Cub, mi convinse ben presto ad avvicinarmi al Pci. Ricordo però con piacere le levatacce all’alba quando con i compagni della Cgil facevamo il giro dei cantieri per convincere i muratori a scioperare.
Diffidente verso i triestini a causa di atavici quanto ingiustificati pregiudizi di campanile, per il primo anno accademico mi isolai o feci banda solo con friulani. Finite le lezioni, saltavo sul primo treno per Udine. Le cose cambiarono radicalmente quando, l’anno successivo, ebbi un posto alla Casa dello studente: cominciai a prendere la parola nelle assemblee di facoltà e piano piano a stringere amicizie e rapporti partecipando a iniziative di gruppo o facendo nottolate per osterie.
Entrai a far parte di un gruppo di compagni che ruotava intorno alla Federazione provinciale del Pci: insieme demmo vita nel ’70 alla sezione universitaria del partito. In quel turbinoso contesto di fervore e impegno politico tenni il mio primo comizio pubblico, un sabato pomeriggio, nell’affollata via XX Settembre, all’epoca territorio fascista. Protetto da una squadra di portuali, ebbi tra gli uditori Vittorio Vidali, il leggendario comandante Carlos del Quinto Regimiento, che volle verificare di persona come si comportava quel furlàn di cui gli avevano tanto parlato in Federazione.
Negli anni triestini imparai molte cose che poi mi sono servite nella vita: a parlare in pubblico, a gestire un corteo o un’affollata e tumultuosa assemblea, ma anche a destreggiami in ristrette e avvelenate riunioni operative. Per quel che invece riguarda il bere – molto, anche se non sempre bene - avevo già conseguito... un dottorato magna cum laude a Udine con agli amici del liceo.
Ma il mio ’68 continuò a Udine e fu altrettanto ricco e fruttuoso. A fine ’70 accettai di fare il segretario provinciale della Federazione giovanile comunista e mollai l’università nonostante un libretto eccellente. Scontentai un mucchio di gente: genitori e parenti in primis (la zia Norina non mi invitò per mesi da lei il giovedì a mangiare gli gnocchi), ma anche i giovani compagni di Udine che si videro catapultare sulla testa da fuori un alieno inesperto e “vergine” di vita politica di partito (e al quale fecero giustamente una guerra spietata). Ma quell’incarico, accettato con impulsiva sventatezza (e poi quelli successivi alla Lega per le autonomie locali, l’antenata dell’Anci, e nel consiglio di amministrazione dell’Atm di Udine), mi consentì di fare esperienze e di maturare competenze tali che oggi non sarei quello che sono se non ci fossero state: fui costretto a prendere finalmente la patente; a Ovaro gestii uno sciopero di operaie in una fabbrica di orologi; durante il periodo natalizio del ’72 organizzai un tendone in piazza Garibaldi per raccogliere firme contro la guerra nel Vietnam; presi per la prima volta l’aereo; membro del Comitato centrale della Fgci (segretario nazionale era Renzo Imbeni, futuro sindaco di Bologna) ebbi a che fare con i giovanissimi D’Alema, Mussi, Veltroni, Petruccioli ma anche con i big del partito quando eravamo invitati al Comitato centrale (segretari erano prima Luigi Longo e poi Enrico Berlinguer); feci un memorabile viaggio in Unione Sovietica e a Leningrado tenni un discorso ufficiale ai giovani del Komsomol spiegando la linea del Pci per una via italiana al socialismo (ma sono sicuro che l’interprete omise questa parte del mio discorso…). E poi ci fu il mio battesimo come scalatore in cordata con due compagni che non ci sono più: Andrea Lizzero e Mario Blasone. Ora vorrete sicuramente sapere quali conseguenze ebbe su di me l’altra fondamentale ‘rivoluzione’ del ’68, quella sessuale. Zero durante il liceo, idem negli anni triestini...
Ben presto capii che la politica di professione era fatta per gente con sullo stomaco un pelo molto più lungo del mio; mi ributtai nello studio, presi la laurea ed emigrai in Toscana dove vivo ormai da 40 anni, uno di quei friulani della diaspora che continuano ancora a pensare e a sognare nella marilenghe.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto