Al Giovanni da Udine Andrea Pucci mette in scena "In... Tolleranza zero"

UDINE. Anche il comico è un uomo, direbbe un ispirato Gianni Minà. Lo diventa eccome appena appoggia la maschera sul comodino. E poi sono tutti cavoli suoi.
«Ah be’, fai ridere, mi dicono. E che ci vuole?», sbotta Andrea Pucci.
«La gente a volte non coglie le difficoltà del mestiere. L’attore drammatico se la passa meglio».
L’interistissimo Pucci - ineguagliabile un suo video contro la gestione Mancini - non è un tipo da satira politica. «Per carità, preferisco evitare l’ambiente. E poi è inflazionato non poco».
Difficoltà in più per Pucci e per quelli come Pucci. Scovare l’aspetto grottesco della società, escludendo il palazzo, è una rogna mica da poco. Vi guardare in giro?
É tutto talmente irreale che si fatica a stravolgerlo. Sarebbe perfetto così come sta. Ma non puoi rubare la realtà senza un minimo di manipolazione, giusto? É plagio.
Dunque. Il nuovo show del milanese finirà domenica 19 febbraio, dalle 21, sul palcoscenico del Giovanni da Udine. S’intitola In...Tolleranza Zero e più esplicito di così si crepa. S’inala, ancor prima di ascoltarlo, un deciso senso di disappunto. Come dire: aria che non è giornata.
«Siamo intolleranti, questo è il punto. Io lo sono e non a un paio di cose ed è finita lì. No. Oltrepassati i cinquanta tutto, o molto, ha un peso superiore a quando ne avevi quaranta.
Non mangi e ingrassi, per dirne una delle mille. Il comparto psicofisico fatica a carburare e le ossa sembrano sedate: mi sento un diesel ed ero un turbo. Parlo per me, chiaro.
D’altronde io sto davanti a voi ed è naturale che vi racconti di me. Si crea una buona osmosi, credetemi. Non sono una mosca bianca o il più sfigato. Ce n’è di materiale da condividere».
In realtà, ciò che serve è un interlocutore capace di comprenderci. Tipo una collettiva seduta dall’analista. Andrea conosce le debolezze del pubblico, i bisogni e le esigenze. Mica per niente i suoi monologhi fanno sold out ovunque.
In Tv, altresì, il fuoco s’è spento. Ricordate gli oltre dieci milioni per Zelig? Forse ci siamo intristiti. «A parte gli alti e i bassi di qualunque filone, a mancare davvero sono i nuovi nomi. L’abitudine è arcinota: andare in televisione sperando in un improvviso e inaspettato divismo. Meglio se immediato, la gavetta non piace più.
Cinque minuti anche anche si riescono a reggere, è quando ti affacci nei teatri e devi star là sopra per un’ora e mezza che rischi la pelle».
Buttando giù un velocissimo flasback di Andrea Baccan, in arte Pucci, ci ritroviamo nella tabaccheria di famiglia. E, poco dopo, proseguendo, in una gioielleria. Pareva una carriera dietro un bancone più che su un palcoscenico.
«Ero stretto in un negozio, la speranza di poter sbucare dalla tv nelle case degli italiani è stata talmente forte da obbligare il destino a una violenta deviazione. Mi ritrovo a La sai l’ultima? e lo vinco pure. E da quel momento ci spero. Una zampa l’avevo messa dentro, bisognava far passare anche l’altra».
Pucci dimostra di sapersi muovere e Sotto a chi tocca, Le Iene, Quelli che il calcio, Buona Domenica, Scherzi a parte (perdonate l’ordine sparso) diventano casa.
Ora come ora è complesso resistere in televisione. La sensazione è la stessa del Tagadà. Puoi ritrovarti sbalzato fuori in un lampo. «La troppa scelta ha indebolito la forza di certi canali storici. Raidue adesso sta lavorando magnificamente, seppure con le difficoltà d’ascolto.
Lo share si misura ancora in modo tradizionale, benché il pubblico abbia più strumenti di visione. Sullo smartphone e sulla tavoletta hai canali e film a mazzi, basta sapersi muovere. Bisogna aggiornarsi, è un continuo stravolgimento. E dopo i cinquanta...». Dai Pucci, su, i cinquantenni di oggi sono i quarantenni di ieri. All’incirca, ecco.
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