Al Castello di Udine il concerto di St. Vincent: «La musica ha il potere di riunire le persone»
La cantautrice e polistrumentista americana si esibirà il 23 giugno. «Con l’Italia ho un ottimo rapporto, qui è valorizzata la bellezza»

Ogni dettaglio è pieno di significati nel lavoro di Annie Clark, cantautrice, compositrice e polistrumentista americana tra le più affascinanti e innovative degli ultimi anni. A partire dal nome d’arte, St. Vincent, preso da una canzone di uno dei suoi idoli musicali (per cui di recente ha tra l’altro aperto alcuni concerti), Nick Cave: “E Dylan Thomas morì ubriaco/ all’ospedale St. Vincent”. I suoi miti sono presto diventati suoi pari: con David Byrne ha condiviso un album, con i membri dei Nirvana, nel 2014, ha addirittura preso il ruolo che fu di Cobain cantando “Lithium” alla cerimonia in cui sono stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame, tra i suoi musicisti c’è stato anche il tastierista di Bowie. Nata a Tulsa, cresciuta a Dallas e poi a New York, oggi ha scelto di vivere in California.
Dal debutto nel 2007 con “Marry Me” al nuovo, settimo della carriera, “All Born Screaming”, St. Vincent continua a stupire e a rinnovarsi a ogni disco. L’artista statunitense è in Italia per tre sole date in giugno, il 20 a Taranto, il 21 al Lido di Camaiore e lunedì 23, alle 21, al Castello di Udine, per la rassegna di VignaPR e FVG Music Live, nell’ambito di “Udinestate 2025”.
Annie, nella sua carriera ha vinto sei Grammy, tre per l’ultimo album. Che effetto le fa?
«È sempre un onore, un bel riconoscimento che arriva dagli esperti che sono in giuria. Mi fa molto effetto anche ritrovarmi nominata in categorie assieme ad artisti che amo. Bello essere associata a Nick Cave, Pearl Jam, Kim Gordon, Brittany Howard… e ancor di più fare poi festa con Kim Gordon: abbiamo guardato le performance bevendo champagne».
Ha sempre cercato di tenere riservata la sua vita privata, ma proprio ai Grammy ha rivelato di avere una moglie e una figlia, come mai ha scelto quell’occasione?
«Non l’ho considerata tanto una rivelazione, piuttosto in quel momento ho sentito il bisogno di ringraziare le persone che sono le più importanti nella mia vita. Mia moglie e mia figlia sono state anche una grande ispirazione durante la scrittura e registrazione dell’album: mi è venuto naturale ringraziarle».
“All Born Screaming” è il primo dei suoi sette album completamente prodotto da lei stessa. Una scelta vincente alla fine, ma durante la lavorazione ha avuto dei dubbi o delle difficoltà?
«Sì, confesso di avere avuto tanti momenti difficili e altrettanti dubbi, ma ero convinta di dover semplicemente continuare su quella strada, e alla fine ne sarei uscita bene. Alcuni colleghi hanno le idee molto chiare in partenza su come debba essere realizzato il loro disco, per me non era così. La musica in qualche modo deve “accadere”, arrivare, non va forzata. È come comporre un puzzle perfetto, mettendo insieme i pezzi con pazienza, per ore. E solo alla fine, messi tutti assieme, ti godi il quadro completo».
Il suo rapporto con l’Italia?
«Direi ottimo, sono contenta di tornare a suonare, ci vengo spesso anche in vacanza ed è un paese in cui prenderei in considerazione di vivere. Penso sia valorizzata la bellezza, la storia e l’arte, la moda, la cultura. Se parliamo di musica italiana credo che dovrei ascoltare qualcosa di moderno, conosco solo Verdi e Puccini».
In tempi difficili, che ruolo ha la musica?
«Ha il potere di riunire le persone. Il nostro dovere è quello di restare umani, a fronte di chi minaccia di distruggere questa umanità. Vivo in America, seguo anche quello che succede in Italia: abbiamo molti motivi per alzare la voce, farci sentire. Quello che posso fare come artista è donare, aiutare il prossimo anche non pubblicamente, imbastire spettacoli che diano sollievo, ma di certo non credo che un mio post possa cambiare il mondo, chi mi segue sa bene dove mi colloco politicamente, non servono proclami».
Recentemente ha pubblicato “Todos Nacen Gritando”, una versione in lingua spagnola dell’album. Come è nata l’idea?
«È stata una sfida, che però mi ha dato tanta gioia. La prima ragione per cui l’ho fatto, è che ovviamente suono in tanti paesi in cui si parla lo spagnolo e mi colpiva come lì le persone cantassero le mie canzoni, in quella che non è la loro prima lingua. E poi non esiste solo la musica in inglese: pensiamo al successo del coreano K-pop». —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto