Addio a Sergio De Infanti alpinista giramondo e cantore della Carnia

luciano santin
È morto nella notte di martedì, all’ospedale di Tolmezzo, dove era ricoverato da tre settimane Sergio De Infanti, alpinista, albergatore, maestro di sci e scrittore, tra le più note figure della Carnia.
Al ritorno da una breve vacanza in Grecia, era stato colpito da un virus e poi da un ictus e non si è più ripreso.
I funerali saranno celebrati questo pomeriggio con rito civile. Si partirà, alle 16, dall’hotel “Pace Alpina” di Ravascletto per poi raggiungere il cimitero.
La Carnia è più povera, oggi. Se n’è andato Sergio De Infanti da Ravascletto, coriaceo valligiano giramondo, che ha rifiutato l’inurbamento, rimanendo saldamente radicato in quella terra per la quale si è battuto per tutta la vita.
Il suo epitaffio potrebbe essere la nota conclusiva dell’autobiografia “Io per primo non lo avrei mai pensato”, scritta nel 1991, e dedicata a quanti «hanno sentito il richiamo degli spazi e delle passioni».
«Ho maledetto la montagna migliaia di volte. Ho imprecato, ho pianto – aveva scritto De Infanti –, ho avuto paura, e ho mangiato intrugli pieni di sangue delle mie mani. Ma pochi giorni dopo, a casa, conducendo una vita cosiddette normale, ho sempre ricominciato a sognare e a rimpiangere quei luoghi puliti, senza compromessi, palestra della mia vita. Ringrazio le montagne per avermi dato la possibilità di questo lungo colloquio con loro».
Nato nel ’44, Sergio ha un’infanzia segnata dalla miseria postbellica. Va a Torino a fare lo sciuscià (un’esperienza che gli farà poi sentire vicini gli immigrati), poi tenta la fortuna sulle piste dei siôrs, un po’ battipista, un po’ contrabbandiere di sigarette.
L’esame di aiuto maestro di sci, superato nel 1963, è l’inizio di una lunga professione; seguirà la scuola di Ravascletto, prima della Carnia, fondata assieme a Romeo De Crignis.
Molto presto le si affianca l’alpinismo. Una passionaccia invincibile che lo porta sul “naso” della Sfinge (forse il primo 7° in regione, su roccia marcia).
Sulla Nord dell’Eiger, assieme ad Angelo Ursella, caduto nel tentativo. Sull’Everest e sul Tirich Mir, dove si congela i piedi. E sui monti sappadini, a compilare una guida assieme a Spiro Dalla Porta Xydias.
Difficile raccontarlo, Sergio, a chi non l’ha conosciuto di persona.
La sua faccia di cuoio vecchio, che si illuminava quando incontrava un amico.
La sua schiettezza allegra e spigolosa, il suo costante impegno nella conduzione de “La Pace Alpina”, l’alberghetto con annesso camping costruito sotto la Sella di Valcalda, ma ancor più nelle iniziative di sviluppo della Carnia, vissute sempre da decise posizioni di sinistra.
Forse, a restituirne la figura, valgono più i libri che ha scritto. Pagine autobiografiche e piccole epopee carniche, bruegelianamente popolate da quelle figure minimali che compongono la storia.
Figure verissime, anche quando inventate, perché costruite a ricalco della realtà. Una quindicina d’anni fa, al sessantesimo compleanno, con gli occhi persi nel cielo, dietro il fumo azzurrognolo del suo sigaro Sergio commentava: «Ci sono arrivato, contro ogni probabilità, malgrado una vita a rompicollo. Forse gli amici che sono nei pascoli del cielo, mi hanno tenuto d’occhio e impedito di fare la “monata” fatale». Ora, dopo una vita battagliata e piena, è venuto per lui il momento di andare a ringraziarli di persona. —
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto