L’Abisso di Lampedusa, Enia: «Immane tragedia senza una risposta»
Il drammaturgo di scena stasera al Palamostre di Udine: «Siamo così abituati a quest’orrore che non ci tocca più»

Dopo le repliche sold out dello scorso autunno de Autoritratto, il monologo sulla Palermo dei delitti mafiosi Falcone e Borsellino, il drammaturgo e attore palermitano Davide Enia — artista in produzione al Css dal 2024 — torna a Udine per la Stagione Teatro Contatto e il Festival vicino/lontano, con uno dei suoi spettacoli più intensi e memorabili: L’abisso, una produzione Css, in scena questa sera venerdì 9 maggio alle 20. 30 al Teatro Palamostre di Udine.
Uno spettacolo di una necessità e attualità poche volte così urgenti e motivate: è il racconto della tragedia che ormai da decenni sta mietendo migliaia e migliaia di vittime nel Mediterraneo nelle testimonianze dei lampedusani, gli abitanti sbigottiti e spesso eroici di quell’isola primo approdo alla speranza per tanti migranti che fuggono dai loro paesi martoriati da guerre, miseria e fame col sogno di un futuro migliore.
«Per questo lavoro sono stato a Lampedusa dal 2015 a tutto il 2016, con ripetuti ritorni a cadenza trimestrale per molti anni. Quindi quello che sto raccontando io è archeologia».
Un tempo che sembra lontanissimo e che era molto migliore di quello di oggi. Perché?
«Perché oggi la risposta fa schifo, Non ho altre parole per dire quello che succede, con persone confinate nei lager dei centri di rimpatrio, nelle strutture in Albania, continuiamo a pagare paesi che nulla fanno per garantire vite di disperati, abbiamo mandato con un aereo di stato in Libia un criminale, aguzzino e stupratore di bambini, ecco perché facciamo schifo. E veramente vergognoso il comportamento dell’intero continente europeo, e in particolare del nostro governo che in maniera illegale spiava gli attivisti che lavorano in mare e che cercano di tamponare la falla negli aiuti e nei soccorsi. La situazione è disastrosa tanto che ormai siamo talmente abituati a quest’orrore che non ci tocca più».
Ecco questa indifferenza che ci coinvolge tutti è forse l’altro aspetto dell’abisso che lei racconta: non solo le profondità del mare che accolgono i corpi di chi non ce l’ha fatta ad arrivare in Europa, ma l’abisso in cui è precipitata la nostra umanità, assuefatta e indifferente.
«Esatto, ed è sia collettivo che individuale. Non siamo capaci di nessuna risposta a questa tragedia immane e che non finirà tanto presto, anzi! Perché le ragioni che spingono questi disgraziati a rischiare la vita, ossia guerre che continuano a scoppiare, carestie, pandemie continueranno e il fenomeno sarà sempre più gigantesco: è tutto il mondo che si sta muovendo. E noi che facciamo? Ci giriamo dall’altra parte. Conosco Lampedusa sin da quando ero bambino. E una delle tante cose che mi hanno colpito sono quelle relative ai lampedusani, il personale della Guardia Costiera, i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori: tutti traumatizzati da quanto stava e sta succedendo li’. E se lo sono loro, immaginiamo quelli che arrivano».
Ma nello spettacolo leinon li racconta, questi migranti, le loro storie affiorano nei colloqui che tu ha avuto con quelli che stanno da questa parte.
«Con i migranti si parlava in inglese in francese, lingue di mediazione e poi è giusto che le loro storie siano raccontate da loro, quando saranno in grado o ne avranno voglia. Con i residenti invece parlavo il dialetto siciliano, la lingua dell’intimità: si nominavano i sentimenti e le angosce, le speranze e i traumi secondo la lingua della culla, usandone suoni e simboli. In più, ero in grado di comprendere i silenzi tra le sillabe, il vuoto improvviso che frantumava la frase consegnando il senso a una oltranza indicibile. In questa assenza di parole, in fondo, ci sono cresciuto».
Cosa ci racconta alla fine l’Abisso?
«Quanto sta accadendo a Lampedusa, conclude, non è soltanto il punto di incontro tra geografie e culture differenti. È per davvero un ponte tra periodi storici diversi, il mondo come l’abbiamo conosciuto fino a oggi e quello che potrà essere domani. Sta già cambiando tutto. E di questo dobbiamo essere consapevoli tutti».
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