1993, l’Italia di Craxi

Da martedì sera su Sky Atlantic il sequel di 1992, la serie di successo su Mani Pulite. Ma nulla è cambiato

Viva l’Italia «assassinata dai giornali e dal cemento»... «L’Italia dimenticata e da dimenticare». La cantava nel ’79 De Gregori. In realtà, dimenticare sarebbe salutare, chiudere una Repubblica e iniziarne un’altra.

Dalla prima alla seconda. Fatto. Adesso sentiamo forte il desiderio di una terza, diversa dalle due precedenti, nuova, sana e politicamente corretta.

Gli anni Novanta, al cinema, si sono rivisti saltuariamente. Decennio durissimo, non meno travagliato di quelli del piombo e della contestazione.

Alla serie Sky 1992 seguirà, da stasera su Atlantic, il 1993, trecentosessantacinque giorni di trambusto politico decisivo che (ri)visto oggi dà l’esatta dimensione di un diabolico perseverare nel marciume nazional-popolare.
Non che adesso le mani siano più pulite di allora, ci siamo solamente abituati a vederle sporche. Nemmeno nella guerriglia antecedente, ben evocata ne Il Divo di Sorrentino, lo erano.

Tangentopoli scoprì la superficie di un sistema sommerso, ed è da quel profondo mai affrontato che continua ad alimentarsi il male.

Sky, è vero, preclude lo sguardo alla massa. Ma ormai gli abbonati hanno raggiunto un popolo considerevole, d’altronde il privato offre pacchetti convenienti contraccambiando con opere pregiate. E con un po’ di pazienza scivolano pure nel chiaro.

1992, indizi di una valanga. Il sottosuolo ribolle, ma nessuno lo sa. Salgono su puzze che vengono profumate con l’atavica abilità italiana di tirare a campare.

Il 17 febbraio non passa inosservato, diventando parte integrante della collezione di date decisive. Mario Chiesa, esponente del Psi e presidente del Pio Albergo Trivulzio, sta intascando una tangente da 7 milioni e la polizia lo sa. Lui ci proverà a far sparire le carte da cento nel cesso, peccato che il riflusso le rimanderà su. Tangentopoli cominciò in una toilette.

1992 riempì dieci puntate con una gradevole sovrapposizione di elementi noti e immaginati.
Conosciamo un tale Leonardo Notte (Stefano Accorsi, anche ideatore della serie) che fa a spallate per entrare nella Publitalia di Marcello Dell’Utri.

Tutt’attorno l’inchiesta sul sangue infetto, la salita prepotente della Lega Nord con l’indietreggiare inevitabile di democristiani e socialisti e soubrette con scrupoli pari allo zero (una splendida Miriam Leone) pur di infilarsi a Domenica in, in quella Tv che iniziò a diventare icona di se stessa.

Ma fu il 1993 a confermare che il ’92 non si affannò per caso, il bubbone era scoppiato e la stagione dei ribaltoni stava appena formandosi.

La seconda serie ha scelto uno start significativo ed emblematico: la contestazione a Craxi del 29 aprile all’hotel Raphael di Roma, la residenza capitolina di Bettino. La Camera negò l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti e il popolo reagì lanciando monetine al segretario del Psi mentre saliva in auto.

Leonardo Notte c’è ancora e la caccia a Silvio Berlusconi è aperta. Il ragazzo intuì che quell’uomo, nel momento topico del crollo delle ideologie, rappresentava la nuova storia italiana da raccontare.

Anno, fra l’altro, zeppo di eventi dalle tonalità scespiriane. Avvisi di garanzia a pioggia: a Severino Citaristi, tesoriere della Dc, Giorgio La Malfa, segretario del Pri, Renato Altissimo e a Carlo Vizzini, socialdemocratico. Tangenti rosse, processo Cusani (reati collegati a una joint venture Eni e Montedison) e un paio di suicidi eccellenti: il 23 luglio si uccise l’ex presidente Eni Gabriele Cagliari e soltanto tre giorni dopo il presidente del gruppo Ferruzzi-Montedison, Raul Gardini.

1993 sarà ancora Di Pietro dipendente, seguiremo Notte nelle sue ascese, ritroveremo Luca Pastore di Mani Pulite (Domenico Diele), il leghista Pietro Bosco (Guido Caprino) e la ricca Bibi Mainaghi (Tea Falco).
C’è da dire: nei Novanta noi stavamo meglio. Magari i nostri figli nel 2040 rimpiangeranno il 2017, di solito non si ama mai troppo il presente. La differenza è una sola: nel Novecento qualcuno finiva in manette, adesso la condanna è solo su Twitter. E il giorno dopo nessuno si ricorda più, perché nuovi tweet copriranno i vecchi. Il virtuale che ti salva la vita.

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