Varisco: il Governo lasci la ricostruzione in mano alle Regioni

L’ex assessore spiega l’importanza della gestione autonoma «No alla fretta nel fare le opere, servono da sei a otto anni»

UDINE. «In questo tempo difficile che stiamo trascorrendo la memoria serve». Lo scrive lo scorso 6 maggio, nell’anniversario dei 40 anni dal sisma friulano, Salvatore Varisco. Già presidente della commissione speciale per i problemi del terremoto, quindi assessore alla ricostruzione del Friuli.

Da sempre restio a farsi carico del ruolo di suggeritore, in questi giorni Varisco sembra disposto a uno strappo. La memoria bussa alla sua porta e lo spinge a rompere il silenzio. Chi d’altronde meglio di lui può dare oggi un consiglio sul da farsi alle istituzioni delle zone colpite?

L’ex assessore – classe 1928 – un’idea ce l’ha. Oltremodo precisa. E se da un lato promuove il premier Matteo Renzi per la disponibilità a ricostruire dov’era e com’era, dall’altro lo mette in guarda da un passo potenzialmente fatale. La nomina di Vasco Errani a commissario per la ricostruzione. «Nulla da dire sull’uomo – precisa Varisco –, ma se l’intento è ricalcare i passi compiuti dal Friuli, allora la scelta di affidare la rinascita alle mani di un commissario sarebbe la più sbagliata. L’esatto contrario di quanto fatto 40 anni fa». Vale a dire? «In Friuli la gestione commissariale si limitò ad affrontare l’emergenza, mentre la ricostruzione, con legge dello Stato, venne delegata alla Regione e ai Comuni. Se nell’Italia centrale sarà invece affidata a un commissario plenipotenziario prevedo solo problemi e ritardi».

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Varisco spiega anche il perché della bocciatura. «Semplice. Anzitutto Errani dovrebbe intervenire su quattro diverse Regioni, che hanno distinte sensibilità, identità, tradizioni, priorità. E poi esautorerebbe i cittadini, che giustamente reclamano la ricostruzione dei loro borghi com’erano e che dinnanzi al commissario si sentirebbero giustamente non più protagonisti, ma assistiti. I

n Friuli invece l’ultimo dei carpentieri può vantarsi d’aver ricostruito un angolo di strada. Abbiamo ascoltato quanto era possibile – prosegue Varisco –, raccogliendo le istanze dei territori, facendole transitare dai comuni per arrivare solo alla fine in Regione. In un processo democratico e virtuoso che non ha portato ad alcuna protesta della popolazione. Noi lo possiamo raccontare». È un invito al premier?

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«Se Matteo Renzi vorrà, noi saremo a disposizione. E quando dico noi penso a tante persone. Anzitutto ai tecnici, poi alla politica. All’allora ministro del lavoro, Mario Toros, che fu delegato dal Consiglio dei ministri al coordinamento dei vari dicasteri per la ricostruzione friulana, così come all’allora sindaco di Gemona, Ivano Benvenuti.

E poi il Governo non deve aver fretta di ricostruire le case. Nei centri storici ci vogliono dai sei agli otto anni. Prima bisogna dar corpo a indagini idrogeologiche, poi metter mano ai piani urbanistici. La trafila è lunga, ma va rispettata. Come il desiderio della gente di riavere indietro la propria abitazione».

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Ma quale dovrebbe essere il primo atto per seguire i passi del Friuli? Varisco ripercorre l’esperienza friulana. «Votare un decreto del Governo o una legge in parlamento che consenta alle singole Regioni di gestire direttamente il delicato processo di ricostruzione. Il nostro segreto è stato questo: un patto tra gentiluomini stretto tra Stato e Regione. Tra gli allora presidenti del Consiglio Aldo Moro e della giunta regionale Antonio Comelli. Così ce l’abbiamo fatta e come noi possono farcela oggi anche le popolazioni del Centro Italia».(m.d.c.)

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