Strangola la fidanzata e gira col corpo in auto

PALMANOVA. «Credo di aver commesso un omicidio». Il tragico epilogo di una notte senza senso, muta testimone di vite e sogni annientati, comincia con quelle parole. Sono le 9.12 di ieri e a suonare il campanello della Polizia stradale di Palmanova è un giovane sotto choc.
Ha vagato per oltre dieci ore al volante della Yaris con cui la sera prima era andato a prendere la sua giovane e bella ragazza. Quello che giace al suo fianco, però, non è più il futuro. Il sorriso contagioso di Nadia si è spento e la colpa è tutta sua. Francesco Mazzega, originario di Muzzana e residente da qualche tempo a Spilimbergo, non si dà pace. Ha sbagliato e lo sa.
La gelosia e, forse ancor di più, l’incapacità di gestire quella relazione gli hanno fatto perdere la testa. Una parola di troppo, il terrore di essere lasciato e infine la violenza: lui, 36 anni a giorni, ha afferrato il collo sottile di lei, che di anni ne aveva soltanto 21, e ha stretto con tutta la rabbia che aveva in corpo. Questione di secondi: pochi, a contarli, infiniti e fatali, nei fotogrammi di un’aggressione a senso unico. Inutile, a quel punto, correre in ospedale. La speranza è morta insieme a Nadia Orlando pochi istanti dopo. E a lui, colpevole e pentito, non è rimasto che vagare senza bussola alla ricerca di un approdo. È stata la coscienza a indicarglielo e a consigliargli di costituirsi.
Le indagini della Mobile
Quando gli agenti della Polstrada lo raggiungono al cancello, basta un’occhiata al corpo senza vita della ragazza seduta sul lato passeggeri per capire che non si tratta di uno scherzo. Qualche ora prima, non trovando la figlia nel proprio letto, nella casa di Vidulis di Dignano in cui abitava con la famiglia, i genitori di Nadia si erano recati dai carabinieri di San Daniele per denunciarne la scomparsa.
E anche dalla Lima di San Daniele, l’azienda dove lavoravano entrambi, il sospetto che sia successo qualcosa serpeggia fin dai primi minuti di ritardo ingiustificato.
La comunicazione tra polizia e carabinieri è immediata. E alle 10, a imboccare la strada di Palmanova, sono anche gli agenti della Squadra mobile di Udine, diretti dal vicequestore aggiunto, Massimiliano Ortolan, e il pm di turno, Letizia Puppa. In breve, nel parcheggio in cui è stata lasciata l’auto con le portiere aperte convergono anche gli uomini della Scientifica e il medico legale.
L’ispezione cadaverica proseguirà in ospedale, dove il corpo sarà trasferito dalle onoranze funebri dopo il nulla osta del magistrato alla rimozione del cadavere. Intanto, a raggiungere Mazzega per assisterlo nell’interrogatorio cominciato alle 12 e terminato alle 18 è l’avvocato Annaleda Galluzzo. «Sta collaborando», si limita ad affermare il legale a fine giornata.
L’interrogatorio fiume
A riferire alla stampa la ricostruzione dei fatti, sulla scorta del racconto proposto da Mazzega, sono gli inquirenti nell’incontro organizzato in Questura in tarda serata. Un faccia a faccia lungo, faticoso e complesso, quello cui il giovane si abbandona, «stremato dalla nottata e distrutto dal dolore». La tensione e la prostrazione sono tali che, verso le 17, la polizia decide di chiamare un’ambulanza per una visita. «La mia vita è finita – dice agli investigatori –. Speravo si fosse soltanto assopita».
Erano le 20 di lunedì, quando, come tante altre volte da quando - da circa un anno - si frequentavano - era andata a prenderla per trascorrere qualche ora insieme. Una passeggiata lungo il greto del Tagliamento, in mezzo ad altre persone, e poi di nuovo in macchina. Ed è lì che i toni si sarebbero alzati, degenerando nell’aggressione. «Ho chiesto spiegazioni rispetto ad alcuni suoi atteggiamenti – ha riferito al pm –, sono volate parole grosse, e le ho messo le mani al collo, premendo sempre più forte».
Liberatasi finalmente dalla presa del fidanzato, Nadia avrebbe cominciato a tossire, lamentando di non riuscire a respirare. Lui le avrebbe proposto di accompagnarla al Pronto soccorso ed è lungo la strada che lei avrebbe cessato di vivere. Sconvolto, Mazzega avrebbe allora guidato per chilometri, senza meta e senza telefonare a nessuno, arrivando al confine con la Slovenia, a Trieste, e tornando poi indietro, fino a Palmanova, dove conosceva qualcuno. Finchè, scorta l’insegna della Polstrada, non ha deciso di presentarsi e raccontare tutto.
La differenza di età
«La discussione è nata per quelle che l’indagato ha definito piccole problematiche, che lui, di quasi 15 anni più grande di lei, vedeva come molto importanti e che lei, forse, sottovalutava». È sempre il capo della Mobile a riferire i pezzi di un puzzle che il ragazzo, con difficoltà, ha cercato di ricostruire. Fuori, sotto un sole cocente, ad attendere di capire a loro volta cosa possa averlo spinto a compiere un gesto tanto imprevedibile sono due dei suoi zii.
Arrivano verso le 16, insieme ai genitori di Francesco, che invece varcano il cancello senza guardare in faccia nessuno, pietrificati dalla notizia che li ha raggiunti mentre si trovavano in vacanza in montagna. Vorrebbero incontrarlo e chiedergli perchè. Ma lui si rifiuta di vederli. «Mi vergogno troppo per quel che ho fatto: non voglio affrontare i miei genitori», spiega agli inquirenti.
E loro, muti come all’arrivo, sono risaliti sulla loro Dacia Sandero, e ripartiti alla volta di Muzzana. La zia Antonietta, invece, si dà da fare e, nel descrivere quel suo nipote come «un bravissimo ragazzo», ricordare «il bel sorriso» della fidanzata conosciuta l’estate prima a un convivio familiare, e rammaricarsi per «l’eccesso di fede» del fratello (e padre di Francesco), contatta l’avvocato Nicoletta Menosso, per incaricarla del caso.
Il pericolo di fuga
«L’attività è in corso – commenta il procuratore facente funzioni, Giorgio Milillo –. Il nostro compito, ora, sarà di riscontrare tutto ciò che è stato dichiarato». In serata, a 24 ore esatte dall’omicidio, arriva il decreto di fermo del pm. «Ricorre il pericolo di fuga», motiva il magistrato, contestando l’aggravante dei futili motivi. La gelosia, appunto.
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