Stanley Clarke: ai giovani serve tecnica, creatività e un occhio al mercato

Parla il bassista piú autorevole che ha suonato con tutti da Getz a McCartney e Keith Richards «Non basta essere bravi, questo è un mondo molto affollato»

«Non sono solo i jazzisti a entusiasmarsi per Stanley Clarke, ospite di punta poche sere fa di Jazz & Wine of Peace al teatro comunale di Cormòns, con un concerto che arrivava quasi al termine di un’altra lunga giornata del festival organizzato da Controtempo. La formula era quella di diversificare nello spazio che va dalla mattina a notte fonda una serie di avvenimenti legati al jazz, in una sorta di festa musicale di un intero territorio. Quattro concerti, due dei quali in Slovenia, al Kulturni Dom di Nova Gorica e, per la prima volta, nello scenario incantevole di Vila Vipolže, indice piú che evidente della capacità che ha la musica di coinvolgere il pubblico, non curandosi di confini, limiti e barriere.

Culmine della giornata, si diceva, Stanley Clarke con la sua band, quattro Grammy Award, l’unico che passa con disinvoltura dal basso tradizionale a quello elettrico, simbolo di un virtuosismo stratosferico che ha segnato oltre 40 anni di carriera e di incursioni dal jazz al pop lasciando sempre e comunque la sua inconfondibile firma.

"Qual è il genere che mi dà piú soddisfazioni? Pensando a me stesso - ci dice - mi vedo piú come un bassista, piuttosto che come un esponente di un particolare genere musicale. Il basso è uno strumento che si integra bene con tutta la musica ritmica, jazz, r&b, rock, pop. Se uno lo considera adatto solo ad alcuni generi si priva di metà delle proprie capacità espressive. Poi, guardi, la musica, in tutte le sue forme, è sempre stata presente nella mia infanzia. I miei genitori mi hanno sempre messo in contatto con ogni tipo di musica, mia madre era una cantante d'opera dilettante, e cantava le arie per tutta la casa. Per me avvicinarmi alla musica è stato molto naturale, sono cresciuto ascoltando di tutto e lo faccio ancora".

Lei ha suonato un po’ con tutti i più grandi nomi del jazz e del pop, da Dexter Gordon a Stan Getz, da Chick Corea a Paul McCartney e Keith Richards, e lei stesso è una delle icone jazz piú seguite. Cosa suggerirebbe a un giovane musicista che volesse fare una carriera come la sua?

"Credo molto nella formazione musicale. La base della mia carriera è stata un solidissima formazione, poi ho avuto dei magnifici punti di riferimento. Il mio primo insegnante di musica era un docente ferreo e intransigente, mi ha dato delle solide basi che poi mi hanno fatto crescere. Credo poi che per la carriera di un giovane musicista è fondamentale essere attenti all'aspetto professionale e al mercato della musica, nel senso positivo. Di questi tempi il solo talento non è sufficiente a emergere in un mondo molto affollato".

Ma lei, come sceglie chi far suonare nella sua band, cosa chiede, tecnica, creatività, amicizia o cosa?

"Tecnica, creatività e talento sono ovviamente fondamentali per far parte di una band, mi considero molto aperto con i miei musicisti e mi piace sostenere i giovani. In questo tour, per esempio, con me ci sono Beka Gochiashvili al piano e Mike Mitchell alla batteria che hanno piú o meno l'età che avevo io quando ho iniziato a suonare con Horace Silver, Art Blakey, Dexter Gordon, Joe Henderson. Cameron Graves, che mi accompagna alle tastiere ha qualche anno di piú, ma ha un'esperienza enorme. Come ha potuto ben comprendere il pubblico di Cormons».

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