San Vito al Tagliamento nella top 100 dei "borghi felici"

PORDENONE. Siete felici? Se sì, vi trovate a San Vito al Tagliamento, unico “borgo” che entra nella top 100 nazionale per il Friuli Venezia Giulia. Felicità calcolata sulla base del bil, benessere interno lordo, un incrocio di dati Istat, Infocamere, ministero dell’Interno, Aci e Banca d’Italia per mano del centro studi Sintesi per il Sole 24 Ore.
Allora, quali sono i “segreti” del «paese» che conserva i segni dell’ultimo patriarca Daniele Delfino – la ricostruzione del duomo, omaggio ad una comunità che stava crescendo – e della Serenissima – palazzi e giardini – dove convivono «un centro veneto e una periferia di radicata lingua friulana»?
Intanto, l’accessibilità a prezzo economico. E non è poco. Varcate le torri Raimonda e San Nicolò (Scaramuccia), a piedi, dopo avere parcheggiato con 60 centesimi per un’ora, si è nel salotto. I bambini possono scorazzare senza il rischio di finire investiti, gli anziani sedersi su una panchina all’ombra dei portici, le famiglie passeggiare o sostare in uno «dei tanti bar», ma anche dedicarsi allo shopping.
Per vivere l’intrattenimento o visitare uno dei tanti siti culturali, beh, non c’è che l’imbarazzo della scelta, di giorno e di sera, grazie a un potente ufficio turistico che indirizza subito al piano di sopra, all’antico teatro sociale Arrigoni, la “bomboniera” sanvitese e, forse, della Destra Tagliamento.
San Vito, paese, borgo. Definizione che fa specie per una realtà che, nell’Ottocento, era la più popolata del Pordenonese, la seconda del Friuli.
«Di città ce ne sono pochissime. Questa era terra Sancti Viti», premette lo storico bibliotecario Angelo Battel. E’ il primo “felice” che incontriamo, colui che la sera condurrà “Tra la storia e la gente”. Sottotitolo: dove ci porti quest’anno Angelo? Non lo so, San Vito è tutta bella. E ha già detto tutto.
«Felice? La felicità andrebbe bandita, al massimo parlerei di sprazzi di consapevole serenità. Sono convinto che a San Vito vi siano tutti i presupposti perché la vita sia più lieve: cento posti in asilo nido, scuole di livello, bel teatro, una piscina comunale, una palestra di roccia, una struttura sanitaria e una zona industriale che ancora regge. E, questo paese, ha avuto l’intelligenza di recupere abbastanza bene tutto, non ultimo l’essiccatoio Bozzoli».
Non ha riempito di centri commerciali la periferia, svuotando il centro: «Il nostro centro commerciale è il mercato del venerdì». Per un po’ ha avuto una piazza disseminata di banche (con relative polemiche), poi la razionalizzazione della finanza ha risolto da sola il problema. San Vito ha sempre puntato sui servizi: «Per il commercio orbitava su Codroipo. Le borse erano lì e a Oderzo».
Insomma, un “paese” «che dà l’idea di provincia dove si può vivere bene o meno peggio». Non a caso molti osservatori ritengono che, un domani, potrebbe essere proprio questo il nuovo capoluogo di Provincia. S’è preso, ultimo il carcere, quello che altri scartavano. E l’ha trasformato in opportunità. In primis, il turismo culturale.
«E’ nostro orgoglio accompagnare la gente», dice la “felice” Francesca Nadalin, 23 anni, di Ligugnana. «Qui è tutto ben tenuto, ci si trova bene per forza. Mi dispiacerebbe abbandonare il Tagliamento, fiume fondamentale per la nostra città. Sotto il profilo culturale, vi sono opportunità per tutti i gusti, a tutti i livelli».
Cerchiamo (e troviamo) conferme nelle milanesi Tina, Ivana e Lorenza, in vacanza a Udine. Hanno scelto di visitare, di là da l’aghe, San Vito al Tagliamento: «Ha una dimensione “paesana” e un’atmosfera unica. Niente traffico, niente smog, niente stress. Vi è stata una particolare attenzione alle ristrutturazioni, vi è vivacità culturale. E, sotto il profilo dei servizi, ci sono ospedale, teatro, farmacie, negozi e parchi commerciali non mostruosi».
Insomma, qui è «tutto a misura d’uomo».
Ne è convinta anche Flavia, figlia di emigrati sanvitesi in Svizzera e da un anno e mezzo stabilmente nel borgo felice, dopo avere vissuto 25 anni a Neuchatele, Castelnovo in francese. «Resto sorpresa quando la gente si sottovaluta e si lamenta. Invece qui non c’è niente da sottovalutare».
Lei e il marito, scozzese, hanno deciso di trascorrere il resto dei loro anni a San Vito: «Mi ero stufata di vivere da “formica”, dove tutto doveva essere perfetto. Ho voluto rallentare e sono venuta qui, dove ho trovato gente simpatica, competente nel lavoro, che sia in ospedale piuttosto che nella pubblica amministrazione. Ho rinunciato a un po’ di benessere in più, ma ho guadagnato in stile di vita».
Poi racconta un paio di annedoti: «Al consorzio agrario il commesso mi ha detto: tutto quel peso a piedi? Mi ha portato col furgoncino a casa. In posta mi dicono: sei figlia di... ? Sì, San Vito è una città, ma ha mantenuto il bello della vita, le relazioni umane».
E’ proprio tutto bello? Un piccolo “neo”: «Molte famiglie annoverano un emigrato. Eppure noto reazioni forti con i nuovi stranieri: tra loro, però, c’è chi fugge dalla guerra, dalle violenze, da situazioni terribili».
Ecco, gli stranieri. Si sono integrati e lavorano, come le polacche Marzena Szcerbinska e Joanna Kucharczuk, all’ortofrutta “da Paolo”, esperienza decennale a Venezia alle spalle. Raccontano di «avere pianto appena arrivate. Poi abbiamo conosciuto la gente che, superata la diffidenza, ci ha accolte come figlie». E ora sono felici, le polacche, anche loro.
«Nonna, tu conosci tutti!» dice il nipotino a Fernanda Salvador: «C’è amicizia e cordialità, ecco la felicità sanvitese». E la quiete, come rimarca Aldo Domenico Guizzo, originario di Montebelluna, in città dal 1967 dopo anni da emigrante negli Usa e in Canada. In via Amalteo aveva aperto il bar Stella, oggi Beta drink: «Mancano i negozi di gamma alta, per il resto la quiete che si vive la sera qui, non la cambierei con altra cosa». “Movida” non significa necessariamente casino: «Per la vivacità culturale sono venuto a vivere qui», conferma Giovanni Buiat, originario di Aiello.
Dalla loggia del XV secolo al teatro, dal castello alle chiese, dall’antico ospedale dei Battuti al museo archeologico, da quello della vita contadina alle antiche carceri, dal monastero della Visitazione al santuario di Madonna di Rosa. Da girare (e vedere) ce ne sarebbe per giorni.
Tour ridotto a due ore, a piedi, fino al ritorno in piazza del Popolo. «Abbiamo buoni servizi, ma poi ci lamentiamo, come tutti gli altri. Ho vissuto a Bologna, qui c’è tutto a portata di mano», dice Lorenzo Duchi, edicolante di 37 anni, che “ama” il centro pedonale.
Posizione opposta, quella di Katia Giordano, al Gelatiere: «Con la pedonalizzazione è venuta a mancare la gente di passaggio, drenata nei grandi centri commerciali. I sanvitesi? Posso solo che ringraziarli, mi hanno dato da vivere».
Flash riassuntivo: «I sanvitesi li conosco tutti: buoni. Sicurezza? Ottima, parola di chi ha avuto i ladri due volte. Ma di sera giro tranquillamente sola. Illuminazione pubblica: promossa. Scuole, asilo, sport, oratorio, centri estivi, cultura e teatro: grazie di esserci e guai chi ce li tocca». Parola di sanvitese felice.
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