Prestito in cambio di azioni, il giudice: quel contratto è nullo

UDINE. Da quando le ex Popolari venete sono fallite, i tribunali di mezza Italia hanno incamerato una marea di cause di risarcimento dei soldi persi nell’acquisto di azioni diventate poi poco più che carta straccia.
Pochissimi, però, avevano finora spostato il tiro più a monte, ponendo al centro del contenzioso il finanziamento che aveva permesso al meccanismo delle “operazioni baciate” di stritolare i risparmiatori.
A Udine, a farlo è stata la sentenza che ha dichiarato quel contratto nullo e, con esso, anche gli ordini relativi alle azioni cui la Banca popolare di Vicenza aveva subordinato la conclusione del prestito.
Una decisione che, oltre a soddisfare le aspettative della società di Fagagna che ha promosso l’azione civile, apre la strada ai tanti altri clienti che, anche dopo essere transitati in Intesa Sanpaolo, si sono ritrovati con il valore delle azioni azzerato.
Il caso riguarda un finanziamento di 150 mila euro contratto nel 2014 da una srl friulana specializzata nelle lavorazioni meccaniche. Non appena accreditatale la somma, la BpVi provvide anche a prelevarle dal conto corrente 45.050 euro per la sottoscrizione di 720 delle proprie azioni.
Assistita dagli avvocati Lorenzo Colautti, delegato Adusbef di Udine, e Maria Danussi, la società aveva chiesto al tribunale che fosse accertata la nullità di quell’acquisto e che fosse quindi dichiarato non dovuto l’ammontare.
E visto che nel frattempo, con decreto del 25 giugno 2017, la BpVi (così come la Veneto Banca) era stata messa in liquidazione coatta amministrativa e che Intesa Sanpaolo aveva stipulato con la stessa un “contratto di cessioni di azienda”, subentrando nel rapporto di credito derivante dal finanziamento, a essere chiamata a rispondere dell’obbligo risarcitorio era stata appunto quest’ultima.
Nel valutare il caso, il giudice Andrea Zuliani non ha avuto dubbi nel riconoscere e dichiarare la violazione dei limiti previsti dall’articolo 2358 del codice civile, che pone «divieto assoluto alle società di accordare prestiti per l’acquisto di azioni proprie».
Vietato il finanziamento e nullo quindi pure l’acquisto delle azioni. Anche perché a mancare erano le condizioni stesse che avrebbero potuto legittimare il finanziamento dell’acquisto di azioni proprie. «È del tutto pacifico – ricorda il giudice Zuliani – che tali operazioni non furono preventivamente autorizzate dall’assemblea straordinaria».
E poco conta che, all’epoca, la banca fosse gestita in forma di società cooperativa. «Impensabile che un fondamentale presidio “a tutela dell’effettività del patrimonio sociale” non trovi applicazione solo per questo», osserva il giudice.
Accertata la nullità dell’operazione nella sua interezza, il correntista potrà ora pretendere , ed è qui la novità della decisione, la condanna di Intesa Sanpaolo alla restituzione di tutte le rate versatele, non essendo subentrata nel credito per indebito della BpVi.
La curatela di quest’ultima potrà a sua volta vantare nei confronti della società il credito per la sola restituzione del capitale indebitamente erogato. Richiesta cui la difesa potrebbe comunque opporsi, «eccependo i controcrediti derivanti sia dai pagamenti già effettuati in suo favore prima della cessione di azienda – dicono i legali –, sia dal rapporto di intermediazione finanziaria».
«La sentenza – concludono gli avvocati Colautti e Danussi – ha l’ulteriore pregio di superare brillantemente il problema dell’esatta individuazione del perimetro dei rapporti riferibili a BpVi, nei quali è subentrata Banca Intesa. Se, infatti, non è prospettabile una diretta responsabilità di quest’ultima per le “baciate”, questo rende irrilevante la delicata questione dei limiti dell’azienda ceduta». —
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