Nuovo Dpcm, la richiesta di Fedriga al Governo: niente zona rossa in automatico e regole che valgano per tutti

UDINE. La prima puntata del confronto Stato-Regioni sulle limitazioni da inserire nel nuovo Dpcm, che entrerà in vigore sabato, è andata in archivio con un sostanziale rinvio a giovedì, e, quantomeno, una certezza.
Di fronte al muro delle Regioni, a partire dal presidente della Conferenza, l’emiliano Stefano Bonaccini, il Governo ha infatti deciso che l’automatismo secondo il quale un territorio sarebbe entrato automaticamente in zona rossa nel caso in cui avesse registrato un’incidenza pari a 250 casi ogni 100 mila abitanti non verrà inserito né nel Dpcm né nel possibile Decreto legge allegato.
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Il rischio, e su questo pare ci sia stata convergenza tra Roma e i governatori, sarebbe stato principalmente quello di disincentivare le Regioni a effettuare un gran numero di test molecolari perché un criterio del genere, di fronte ai contagi che hanno ricominciato a salire, avrebbe creato l’imbarazzante situazione di penalizzare, di fatto, quei territori in cui il contact tracing e i monitoraggi vengono effettuati con maggiore efficacia. Un rischio, come detto, che nessuno al Governo vuole correre, specialmente mentre la campagna vaccinale sta entrando nel vivo.
Resta praticabile, invece, la possibilità che per decidere il colore di una regione non ci si affidi esclusivamente all’Rt – peraltro già modificato con l’ingresso in fascia arancione fissato a quota 1 e quello in rosso a quota 1.25 –, ma anche a un altro paio di parametri. C’è chi propone di inserire nel paniere il tasso di occupazione dei posti letto, sia in Terapia intensiva sia nei reparti di Medicina, e chi, invece, chiede di basarsi essenzialmente sulla valutazione di rischio della Regione per cui per un territorio con Rt inferiore a 1, ma considerato ad alto livello di pericolosità – in pratica la situazione del Friuli Venezia Giulia – scatterebbe in automatico la fascia arancione.
Una fascia, questa, che si avvicina sempre più al Friuli Venezia Giulia dove sono in aumento un po’ tutti i criteri legati al contagio – dal numero dei casi giornalieri alla percentuale di occupazione degli ospedali – e, anzi, secondo alcuni parametri la regione nel prossimo monitoraggio dell’Istituto superiore di sanità, previsto per domani con la pubblicazione venerdì, potrebbe addirittura rischiare la zona rossa. Si vedrà, in ogni caso, mentre Massimiliano Fedriga, assieme a un’altra manciata di governatori, ha chiesto di valutare la possibilità di introdurre un pacchetto di disposizioni uguali per tutta Italia.
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«Nessuno mette in discussione la gravità della situazione – sostiene Fedriga –, ma è una scelta saggia quella di non fissare l’ingresso in zona rossa con 250 casi ogni 100 mila abitanti perché così si sarebbero penalizzare le regioni virtuose da un punto di vista dello screening. Ci troviamo di fronte a scenari variabili per cui un territorio resta due settimane in giallo, poi diventa arancione, ma rischiando il rosso, e quindi ritorna al punto di partenza. Non ci si capisce più molto e credo sarebbe meglio, almeno al momento, immaginare valutazioni omogenee con scelte uguali per tutti i territori».
Un altro tema sul tavolo da affrontare entro fine mese, inoltre, riguarda la distribuzione dei prossimi vaccini – sia quelli di Moderna sia quelli di Pfizer-Biontech da febbraio in poi – con alcune Regioni che spingono per una sorta di meccanismo premiale ancorato al reale utilizzo delle dosi e al netto che un territorio abbia mantenuto, o meno, una scorta di fiale per prudenza. «Non penso si arriverà a questa soluzione – chiosa Fedriga – e sicuramente non me lo auguro. Nella prima fase si è scelto di distribuire i vaccini in relazione alla quantità di personale sanitario presente sul territorio, ed è per questo che in proporzione il Friuli Venezia Giulia ha ottenuto più vaccini di altri, ma per le prossime fasi credo che l’unico criterio oggettivo sarebbe quello di ancorare il numero di dosi alla popolazione residente».
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