Nuovi focolai di Covid-19, la Slovenia riprende i controlli ai confini: la polizia misura la febbre alla frontiera

UDINE. Non c’è stata una vera e propria chiusura dei confini – perché ai cittadini italiani è stato comunque consentito il transito pur dopo lunghe attese –, ma il coronavirus complica nuovamente la situazione al confine tra Italia e Slovenia con lunghe code che si sono formate, ieri, ai valichi di frontiera. Negli ultimi giorni, infatti, si era diffusa la voce, sempre più concreta e poi confermata, dello scoppio di nuovi focolai di coronavirus, provenienti dai Balcani, in Slovenia. Al confine italiano si registrano nuovi casi nelle aree di Capodistria e Nova Gorica. In quest’ultimo caso si tratta di una famiglia di tre persone appena rientrata dalla Bosnia.
Nel corso del pomeriggio si è scoperto che le principali restrizioni erano state applicate lungo il confine croato nei confronti dei cittadini provenienti da Bosnia Erzegovina, Serbia e Kosovo a seguito di una serie di contagi registrati in Slovenia su persone provenienti proprio da questi Paese. La decisione delle autorità di Lubiana, quindi, è stata quella di ripristinare, di fatto, i controlli con la verifica della temperatura corporea, oltre alla richiesta di provenienza e di destinazione anche alla frontiera con il Friuli Venezia Giulia. Gli italiani sono sempre stati fatti transitare, pur dopo i controlli di rito che nel concreto hanno portato a una nuova sospensione di Schengen, ma nel frattempo, dal pomeriggio, si è creata in diversi valichi una lunga coda di auto e mezzi pesanti che in alcuni casi ha superato anche i quattro chilometri di lunghezza.
Il premier Janez Jansa, sul proprio profilo Twitter, ha lanciato un appello per proseguire nel rispetto delle misure di distanziamento sociale, perché – ha detto – la riapertura delle frontiere in Europa «ha portato a un rapido aumento di nuove infezioni». La responsabile del gruppo consultivo per il Covid-19 al ministero della Salute, Bojana Beović, ha spiegato da parte sua che l’apertura dei confini e il rilassamento dei comportamenti nella socialità hanno contribuito a nuove infezioni che, ha avvertito, potrebbero portare «all’aumento dei casi nel prossimo futuro». Jansa, tra l’altro, valuterà in base all’evoluzione dei focolai nei prossimi giorni se introdurre ulteriori controlli alla frontiera.
La situazione nei Balcani, d’altronde, ha fatto segnare negli ultimi giorni una crescita – sia chiaro contenuta – dei contagi. Dopo tre settimane in cui l’andamento epidemiologico in Croazia si è mantenuta calmo e stabile, con appena sei casi di coronavirus, ad esempio ieri si è registrata una ripresa dei contagi, con la conferma di 11 nuove infezioni da Covid-19. I nuovi contagiati sono quasi tutti importati dall’estero, e non autoctoni, da croati che nelle ultime settimane hanno soggiornato in Bosnia e in altre repubbliche ex jugoslave. Gli undici positivi sono concentrati in tre focolai a Zagabria e a Spalato. Il premier Andrej Plenkovic ha invitato la popolazione a continuare a comportarsi in modo responsabile, mantenendo la distanza fisica e rispettando gli accorgimenti e le misure di igiene personale.
Nei Balcani, in ogni caso, appare generalizzata una ripresa, più o meno accentuata, dei contagi da coronavirus. Numeri in rialzo in Kosovo, Romania e Bosnia-Erzegovina, ma si conferma il trend in aumento anche in Macedonia del Nord, dove nelle ultime 24 ore i nuovi casi sono stati 193 per un totale di 4 mila 482. Da mercoledì si sono registrati inoltre altri 9 decessi che portano a 210 il numero delle vittime. Anche in Serbia i casi quotidiani hanno ripreso a crescere dopo un periodo di progressivo calo. Da mercoledì sono stati 96, con il totale salito a 12 mila 522, mentre una nuova vittima ha portato il numero dei morti a 257. Sono aumentati negli ultimi giorni in Serbia anche i malati in Terapia intensiva con il respiratore, attualmente 17.
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