Nel kit del candidato spillette, poster e l'inno ufficiale: ecco com'era la campagna elettorale nel 1994

UDINE. Quasi nessuno attacca i cartelloni elettorali, i comizi in piazza sono spariti da tempo come pure i santini dei candidati. Cambiano i tempi e cambia la propaganda: nell’era di internet tutto viaggia in rete. Ne parliamo con Paolo Molinaro, il pubblicitario di Udine prestato, nel 1994, alla politica. Nell’era di Mani pulite e della svalutazione della Lira, Molinaro venne eletto alla Camera nelle file di Fi e anche lui ricevette il kit elettorale da Silvio Berlusconi.
Ventiquattro anni dopo, il pubblicitario riapre il borsone dotato di manico e tracolla, pensato in tela per renderlo più capiente. Tira fuori bandiere, spille, adesivi, un programma sempre valido, il cd con l’inno “Siamo tantissimi”e la cravatta tricolore. Lo fa per spiegare come è cambiata la comunicazione elettorale.
Cosa ha pensato quando ha ricevuto il kit?
«Io che facevo questo mestiere sono rimasto di sale. Il marketing elettorale è entrato in politica con questa valigetta».
Ha scalzato il fai da te?
«Sicuramente. Allora bisognava girare, farsi conoscere e impattare fortemente. Se c’era un impianto stereo la musica era obbligatoria e il palco doveva essere sempre addobbato con le bandiere».
Perché il kit era importante?
«Era stato inviato a tutti i parlamentari con le istruzioni d’uso. Dovevamo studiare il programma perché se ai comizi ci chiedevano “qual è la sua idea per la politica estera” dovevamo attenerci alla linea del movimento».
Quanto tempo ha impiegato a memorizzarlo?
«Non mi rimase molto tempo per leggere tutto. All’epoca la campagna elettorale si faceva tra la gente: la mattina nei mercati, la sera nei bar».
La cravatta tricolore l’ha indossata?
«Mai, non avevo il vestito. È un cimelio storico. Invece le spille del Cavaliere andavano a ruba».
E l’inno? Avete fatto prove di canto?
«Da appassionati lo conoscevamo un po’ tutti. La cosa più significativa era saper cantare il mitico programma».
È stata una fatica?
«È stata davvero una fatica, sostenevano che nei comizi o nei confronti era fondamentale parlare tutti lo stesso linguaggio e sostenere le stesse idee».
Come era strutturato il programma?
«Era diviso in due parti: a sinistra il tema da affrontare, a destra la proposta di Fi».
Riesce a fare un esempio?
«Alla voce immigrazione si legge: “Non dobbiamo ricevere più immigrati di quanti ne possiamo accogliere”».
Il modello come funzionava?
«Berlusconi portava avanti il suo programma in tv, mentre noi eravamo gli alfieri del giorno dopo. Non fu facile, nessuno di noi arrivava dalla politica».
Qual’è l’elemento di novità introdotto dopo il kit?
«I sondaggi, li ha inventati Berlusconi. Ce li mandavano spesso ed erano molto confortanti. Dopo il prelievo dei soldi dai nostri conti correnti, rappresentavamo il cambiamento».
Da pubblicitario oggi segue qualche candidato?
«In più di 30 anni di attività, è la prima volta che non lavoriamo per le elezioni. Nessuno ci ha chiesto niente e noi non abbiamo proposto niente».
Come legge questo segnale?
«È legato alla brevità dei tempi per le candidature, ma è anche la conferma che ormai il trend lo fanno i leader. I candidati prendono quello che generano i leader, non fanno la differenza. Se il sondaggio è a favore che tu sia Tizio o Caio vinci. L’orientamento politico delle persone non lo sposti».
Dopo il porta a porta degli anni Novanta, oggi come si caratterizza la campagna elettorale?
«Da tempo ci si limitava al faccione, alla foto per renderla un po’ nota. Il programma stampato, i gadget costano, sui gadget non ci casca più nessuno. C’è stato un incremento di comunicazione sui social e sul web».
Sta dicendo che i candidati non investono le cifre di un tempo?
«Nelle campagne elettorali c’è stata una forte diminuzione degli investimenti che una volta sollevavano le sorti della pubblicità, della radio e dei giornali».
Senza investire si possono comunicare messaggi precisi?
«Basta sparare e diventi subito famoso. Vince il sensazionalismo».
Del kit di Berlusconi cosa resta?
«Lo spot. La frase estratta da un contesto. Si parte dal concetto che si pensa faccia presa».
Di quel kit qual è stato il materiale più efficace?
«Le bandiere. Il marchio si doveva vedere, abbigliavamo i luoghi».
Un suggerimento a chi sta affrontando la campagna elettorale?
«Essere presenti sui social con i video che uniscono immagine, colore e suono. Oggi la comunicazione è video. Quando dico video dico anche televisione».
I talk show funzionano ancora?
«Sì se si mandano le persone giuste. Alle volte ci sono presenze imbarazzanti. Mentre ai miei tempi tutti si presentano nella miglior forma possibile, ora se uno di giorno fa il meccanico si presenta da meccanico anche la sera. Questo non va bene».
Vogliamo dire qualcosa sul look?
«L’empatia è importantissima, ma non puoi in partenza essere criticato per il tuo look. Non puoi presentarti con la felpa o con i capelli in disordine. Devi mostrare la parte migliore di te, suscitare rispetto non imbarazzo o critica. Mi capita di vedere candidati stravaccati sulle sedie come fossero sul divano di casa».
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