“Mostro di Udine”, spunta una nuova pista e l’inchiesta si sdoppia

UDINE. Un’idea, quasi un lampo di genio investigativo, per continuare a tenere viva la speranza di riuscire a fare luce sul giallo del “mostro di Udine” e della tredici donne, per lo più prostitute, uccise in Friuli tra il 1971 e il 1989.
È la pista che il pm Paola De Franceschi ha imboccato in questi giorni, proprio sulla scorta dello spunto che uno dei carabinieri assegnati al caso ha avuto, esaminando i faldoni che raccolgono le storie delle vittime e che la Procura ha rispolverato la primavera scorsa.
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Erano state le istanze presentate dall’avvocato Federica Tosel per conto delle famiglie di Maria Luisa Bernardo e di Maria Carla Bellone, trovate morte rispettivamente il 22 settembre 1976, in una strada secondaria di Moruzzo, e il 19 febbraio 1980, nelle campagne di Pradamano, la chiave per la riapertura delle indagini.
Ora, però, l’inchiesta si è sdoppiata in due tronconi: quello originario, personalmente seguito dal procuratore capo, Antonio De Nicolo, e quello scaturito da un’intuizione della Polizia giudiziaria, assegnato alla collega e già in fase di acquisizione documentale.
Ieri, l’attività investigativa ha portato gli inquirenti a Cividale, nello studio dell’avvocato Carlo Monai, che già in passato aveva assistito Fedra Peruch, figlia dell’ultima vittima, la maestra Marina Lepre, strangolata, colpita al ventre con un’arma da taglio - verosimilmente, un bisturi - e abbandonata sul greto del Torre, in località San Bernardo, la notte del 26 febbraio del 1989.
Se questo significhi che il secondo filone punta a risolvere almeno quel singolo caso non è dato sapere. «Parliamo di delitti commessi in epoca assai remota e questo riduce al lumicino le speranze. Ma non lasceremo nulla d’intentato», si limita a dire il procuratore.
I colleghi dell’epoca, in realtà, a un certo punto parvero avvicinarsi alla meta. Era la metà degli anni Novanta e una serie di circostanze li convinsero a iscrivere sul registro degli indagati il nome di un medico di 60 anni, di Udine. In primis, quella di averlo sorpreso la notte del ritrovamento della Lepre a pregare a voce alta vicino alla chiesa di San Bernardo.
Seguì il sequestro, a casa, di una forbice, due pinze e altrettanti attrezzi chirurgici a forma di pinzatrice. Alla fine, però la sua posizione fu archiviata per mancanza di elementi in grado di raggiungere il rango di prova certa e, di lì a poco, l’uomo morì portando con sè qualsiasi eventuale incoffessabile verità.
Alla nuova ipotesi investigativa la Procura ha deciso di cominciare a lavorare a prescindere dalla risposta che ancora attende di ricervere dai carabinieri del Ris di Parma rispetto ad alcuni reperti trasferiti ai loro laboratori alcuni mesi fa, in occasione della riapertura del fascicolo.
Reperti che lo stesso avvocato Tosel aveva sottoposto all’attenzione degli inquirenti, a seguito delle ricerche d’archivio condotte nell’ambito di una collaborazione con l’emittente “Crime + Investigation”, e che potrebbero conservare ancora tracce preziose di Dna: un profilattico usato, qualche capello e un mozzicone di sigaretta. Pezzi di “cold case” conservati nel tempo senza le dovute cautele, ma che le nuove frontiere investigative, specie sotto il profilo tecnico, potrebbero valorizzare e premiare.
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