L’organizzatore di Rototom: mai piú il festival in Italia

«Sono attaccato alla mia terra e non me ne sarei mai andato se non mi avessero impedito di fare il mio lavoro pur sapendo che a Osoppo il festival soffriva per mancanza di spazi e servizi adeguati: leggere il nome del Friuli sui giornali di mezzo mondo grazie al Sunsplash mi rendeva orgoglioso e mi ripagava di tutto, ma oggi non tornei mai in Italia. L’ultima edizione è stata un incubo e dopo sei anni sto ancora aspettando di poter difendermi dalle accuse che mi sono piovute addosso. Poi magari mi daranno ragione, ma se fossi rimasto in Italia chi mi avrebbe restituito questi sei anni?». Secondo Filippo Giunta, ideatore e organizzatore del Rototom Sunsplash, non soltanto nessuno gli avrebbe restituito questi sei anni, ma il più grande festival di musica Reggae d’Europa non ci sarebbe più.
La scelta di trasferirsi in Spagna è stata quindi una scelta obbligata che però si è rivelata vincente.
«L’anno scorso in otto giorni di manifestazione abbiamo avuto 240 mila presenze, più o meno 30 mila persone al giorno con una punta di 40 mila in occasione dell’esibizione di Lauryn Hill (l’università di Castellon ha stimato una ricaduta economica di 24 milioni di euro) mentre nel 2009, l’ultimo anno al Rivellino in dieci giorni abbiamo contato 150 mila presenze».
Ma la sua non è una valutazione fatta solo di “numeri”...
«Siamo stati premiati come miglior festival musicale e culturale di Spagna da Cadena Ser che potrebbe essere paragonata alla nostra Radio 24 e il primo anno l’Unesco ci ha dato un riconoscimento come evento che promuove la pace nel mondo. Una bella differenza visto che in Italia ci avevano appena accusati di favoreggiamento del consumo di sostanze stupefacenti. In America ci hanno anche dato un grammy come festival reggae più grande del mondo nel 2010. Quando raccontiamo cosa ci è capitato in Italia, qui stentano a crederci».
Cosa è successo in quell’ultimo anno al Rivellino di Osoppo?
«Che invece di ricevere gli artisti e gli ospiti come avrei dovuto e voluto fare, ogni mezz’ora dovevo rispondere alle domande dell’ispettorato del lavoro, dei carabinieri, dell’azienda sanitaria ecc. Non sono quasi riuscito a parlare con don Ciotti. Mi hanno impedito di fare il mio lavoro».
È stata quella la goccia che ha fatto traboccare il vaso?
«Sì, prima ancora delle accuse e dei tribunali. A Osoppo ospitavamo ogni giorno 10 mila persone. Il parco era una piccola cittadina e ci servivano servizi. Abbiamo costruito la fognatura, l’illuminazione e abbiamo piantato 200 alberi. Ci siamo fatti carico pure dei trasporti. Abbiamo chiesto aiuto alle istituzioni e dopo diversi anni con la giunta Illy avevamo ottenuto un contributo di 80 mila euro che ha generato moltissime critiche tanto che è stato poi dimezzato e quindi annullato. Adesso tra Comune, Provincia e Regione riceviamo circa 100 mila euro ma la differenza la fanno i servizi. In Spagna possiamo concentrarci sul festival, al resto pensano le istituzioni».
E come si spiega tutte quelle accuse?
«Non me le spiego. La cosa che mi fa rabbia è che i nostri detrattori più accaniti come per esempio l’ex assessore regionale Luca Ciriani non hanno mai messo piede al Rivellino. Una cosa assurda e inaccettabile da un amministratore pubblico. Come si fa a giudicare senza conoscere?».
Però gli arresti c’erano..
«Certo. E ci sono anche in Spagna. L’anno scorso una sessantina molti dei quali per furti. Pensi che in un articolo è stato evidenziato l’ottimo lavoro che ha permesso di garantire la sicurezza durante l’evento con solo 60 arresti... Qui lavoriamo insieme alle forze dell’ordine e i risultati si vedono anche perché è nostro interesse far andare tutto bene cosa che in Italia non hanno mai capito. E non è stata l’unica».
Cos’altro?
«Abbiamo iniziato nel 1991 a Gaio di Spilimbergo con il sogno di far conoscere la musica e la cultura reggae. Oltre ai più grandi nomi della musica e reggae mondiale, la kermesse ha radunato intellettuali di alto profilo per dibattiti, corsi e incontri sulla cultura globale, sulla pace, sulla tolleranza, sul multiculturalismo e sullo sviluppo sostenibile. Abbiamo avuto Alex Klein, Peter Cohen Serge Latouche, Felice Casson, don Gallo, Moni Ovadia, Beppino Englaro, Giuliano Giuliani, Guido Blumir, Luigi Manconi, Ignazio Marino e diversi premi Nobel per la pace oltre al ministro della Cultura giamaicano, solo per citarne alcuni».
Il sogno insomma si è realizzato ma ormai parla spagnolo.
«E non torneremo indietro. Qui nessuno ha mai pensato di ridurre il festival ai dieci spacciatori trovati su 20 mila persone».
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