La verità dell’autopsia: nessuna colpa per il portiere morto in campo

Fabio Zuccheri morì a 20 anni a seguito di un malore che lo colse il 5 agosto all’inizio del primo allenamento nel campo sportivo del Sevegliano. Il consulente del pm: soccorsi adeguati e dai certificati medici nessuna avvisaglia. Ma il legale della famiglia chiederà ulteriori approfondimenti su alcune criticità

UDINE. Non fu colpa di nessuno: è questa la conclusione cui è approdato il consulente incaricato dalla Procura di Udine di accertare la causa della morte di Fabio Zuccheri.

E cioè del portiere e promessa del calcio, originario di Crauglio, deceduto la sera del 5 agosto scorso, a soli 20 anni, a seguito di un malore che lo aveva colto sul campo sportivo di Sevegliano, al primo allenamento con la sua nuova società.

Atteso da mesi, l’elaborato è stato depositato in questi giorni al pm Andrea Gondolo, titolare dell’inchiesta che, da allora, vede tre persone iscritte sul registro degli indagati per l’ipotesi di reato di omicidio colposo.

Posto che il decesso è stato attribuito a «morte improvvisa in cardiomiocardiopatia aritmogena del ventricolo sinistro», il medico legale Lorenzo Desinan ha evidenziato come tale alterazione strutturale sia «diagnosticabile in vita solamente tramite una risonanza magnetica nucleare del cuore, per la quale – ha precisato – non sono emerse indicazioni dall’esame della documentazione in atti».

Risposta che non ha per nulla soddisfatto la famiglia, decisa attraverso il proprio legale a chiedere alla magistratura ulteriori approfondimenti.

Muore sul campo di calcio a vent’anni

La tragedia

Fabio si era accasciato a terra due minuti dopo l’inizio del primo giro di corsa. Soccorso subito dalle persone presenti, che non avevano tuttavia potuto servirsi di un defibrillatore - assente dal campo gioco -, il giovane era stato poi sottoposto alle manovre rianimatorie del personale sanitario del 118, sopraggiunto di lì a poco sul posto, sebbene senza un medico, non essendovene in quel momento a disposizione.

Il decesso era stato constatato alle 21.45 e la notizia della prematura scomparsa del portiere friulano aveva in breve fatto il giro d’Italia, gettando nello sconforto quanti, negli ultimi cinque anni, avevano avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo nelle diverse squadre con cui aveva militato.

Gli indagati

Ricevuti gli atti, la Procura aveva ritenuto di ipotizzare una qualche responsabilità penale - e, quindi, di notificare l’informazione di garanzia necessaria ad assicurare all’indagato la possibilità di partecipare con un proprio consulente all’esame autoptico - a carico di tre persone: Marco Caviglione, medico dello sport ed ex consigliere provinciale di Savona, chiamato in causa in qualità di responsabile del centro medico sporivo Olos di Savona, dove nell’agosto del 2014 Zuccheri era stato sottoposto alla visita per il rilascio del certificato di idoneità sportiva; Lorenzo Grazioli, ossia il medico di Varazze di 33 anni che si era occupato dell’anamnesi del ragazzo; Francesco Vidal, 74 anni, in quanto presidente del Sevegliano.

Nella sua breve, ma intensa carriera calcistica, Fabio aveva indossato diverse casacche, dal Cesena al Sambenedettese, fino al “Vado calcio”, in Liguria, dove aveva giocato per tutto il 2014, prima di decidere di tornare a casa, in Friuli, e riabbracciare famiglia e amici. Qui, in gennaio, aveva ricominciato da Monfalcone. Stando a una prima analisi della documentazione raccolta, tuttavia, al Sevegliano non era ancora arrivato alcun incartamento relativo al nuovo portiere.

I quesiti del pm

Oltre all’accertamento della causa della morte, al consulente la Procura aveva chiesto di verificare se, nella documentazione medica e negli esami relativi al rilascio del certificato di idoneità all’attività sportiva agonistica vi fossero elementi in grado di palesare la necessità di ulteriori approfodimenti clinici, se vi fossero errori, mancanze e incompletezze relativi all’anamnesi dell’atleta e se, in definitiva, fossero stati compiuti su di lui tutti gli esami utili a scongiurarne la morte, considerata anche la familiarità a ipotesi infartuali (uno zio paterno era deceduto a 49 anni per un infarto miocardico acuto).

All’autopsia erano presenti anche i consulenti di parte Cristina Basso ed Enrico Ciccarelli, per la famiglia, e Cristina Furioso e Stefano Parlamento, per le difese.

Le risposte del medico legale

Con riferimento al certificato di attività sportiva valido al momento del malore, Desinan - che nell’esame si è avvalso della collaborazione di Giorgio Mocorutti, responsabile dell’Unità coronarica dell’ospedale di Udine - ha segnalato «la normalità dei parametri rilevati», concludendo come non vi fossero elementi tali, da richiedere ulteriori accertamenti medici.

Pur indicando come una «lacuna» e poi anche come un’«omissione» la mancata segnalazione di cardiopatie nei familiari nella scheda di valutazione medico-sportiva redatta dall’Olos, il consulente del pm ha tuttavia escluso che ciò possa essere addebitato alla responsabilità del medico certificante, «in quanto questi può registrare solo ciò che gli viene riferito dall’atleta dichiarante».

A tal proposito, comunque, ha tenuto anche a fare presente come «il rischio di morte da cardiopatia ischemica sia diverso dai rischi di morte improvvisa».

Quanto alla documentazione sanitaria degli anni precedenti, Desinan ha rilevato accertamenti «normali» nel 2008, nel 2012 e nel 2013, limitandosi ad annotare (senza alcuna valutazione specifica) le evidenze emerse da quelli relativi al 2011 (presenza di aritmia sinusale e altro). «L’unico modo per evidenziare la patologia della displasia aritmogena del ventricolo sinistro in vita – ha concluso il consulente – era quello di procedere con una risonanza magnetica nucleare, esame per il quale però non erano emerse indicazioni».

Il defibrillatore

Fuori discussione, secondo il medico legale, anche una qualche responsabilità sul piano dei soccorsi portati al giovane.

Pur rilevando «la mancanza di un defibrillatore sul campo da gioco, per cui – ha osservato – i tentativi di defibrillazione sono stati fatti con un certo ritardo, solo dopo l’arrivo del 118» e pur segnalando anche «la mancanza di un medico, durante le manovre di rianimazione, dipeso dall’indisponibilità dello stesso, come risulta dalle registrazioni telefoniche con la centrale operativa del 118», Desinan ha sottolineato come «il tipo di intervento eseguito abbia comunque utilizzato metodiche di rianimazione cardiovascolare avanzate».

I dubbi della famiglia

Diverse le valutazioni a cui erano giunti i consulenti di parte. Riserve erano state sollevate, sia rispetto all’operato dei soccorsi, sia in merito alla certificazione medica.

Ed è proprio da queste basi che partirà la memoria che l’avvocato Vincenzo Cinque, che nella vicenda assiste i genitori di Fabio, intende depositare in Procura, al fine si sollecitare approfondimenti «quantomeno per quel che riguarda le criticità indicate dai consulenti di parte e alle quali è stato risposto in maniera semplicistica». Sotto la lente, innanzitutto, «le energie utilizzate nelle scariche durante la defibrillazione», che non avrebbero seguito «criteri codificati» e che, in ipotesi, potrebbero avere inficiato la buona riuscita dell’intervento.

E poi, la «seppur minima alterazione riscontrata» in una delle valutazioni dell’idoneità fisica di Zuccheri e che, «per completezza dei protocolli», prima ancora di una risonanza magnetica «avrebbe richiesto l’ulteriore esame del test da sforzo».

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