La mafia tenta la “conquista” del Friuli

PORDENONE. La mafia ha centinaia di tentacoli, 18 si allungano sino al Friuli Venezia Giulia, quattro a Udine, tre a Pordenone.
Nel giorno in cui la Dia deposita la relazione semestrale al parlamento, citando la provincia di Udine per «alcuni investimenti in attività commerciali» da parte del clan napoletano Mazzarella, la Repubblica, nella sezione inchieste, mappa tutti i “punti di crisi”, anche in Settentrione dove, ancora tanti, come nel Meridione degli anni Ottanta, nella società civile e nella politica «non vedono la mafia», mentre i magistrati, come il procuratore di Trieste Carlo Mastelloni, continuano a mettere in guardia dal probabile rischio infiltrazioni.
La predominanza storica è della camorra, particolarmente interessata ad operare a Trieste, Monfalcone e sul litorale udinese. Per quanto riguarda Cosa nostra, invece, la presenza si è concentrata storicamente nella provincia di Pordenone e, in particolare, ad Aviano e dintorni, e nella provincia di Udine.
Come opera, dunque, il sistema mafie al Nord, dove ormai «l’omertà» è diffusa tanto quanto al Sud? «Come una grande agenzia di servizi, che offre soprattutto capitali piccoli e grandi agli imprenditori in difficoltà, magari acquistando quote societarie.
Ma l’abbraccio dei boss è fatale. Prima o poi, tutta l’azienda finirà nelle mani dei padrini», scrive Salvo Palazzolo. C’è l’imprenditore che se ne avvale per delegare il recupero crediti, ad esempio, ma i boss, rileva il professor Enzo Ciconte, a lungo parlamentare Pci-Pds e coautore dell’Atlante delle mafie edito da Rubettino, «hanno puntato soprattutto sull’edilizia e sulle imprese per il movimento terra, oltre che su commercio e ristorazione».
I tentacoli, poi, puntano sui comuni, magari piccoli, dove facile è essere eletti con poche preferenze e, quindi, a basso prezzo.
Il tessuto economico del Veneto è attrattivo perché caratterizzato da piccole e medie imprese e una fitta rete di sportelli bancari, i gruppi criminali puntano al Friuli Venezia Giulia per la sua «collocazione geografica, il suo peculiare tessuto socio-economico e la piccola imprenditoria», assumendo un ruolo «strategico di secondo grado», area di transito «in prossimità del confine con la Croazia e la Slovenia, ma anche uno snodo importante per i traffici illeciti, soprattutto via mare, che ha visto particolarmente coinvolte Trieste e Monfalcone», evidenzia Michele Di Salvo.
Nel corso degli anni è stata riscontrata, in Friuli Venezia Giulia, la presenza di soggetti riconducibili alla mafia siciliana, alla camorra, alla ’ndrangheta calabrese e a sodalizi pugliesi. Cosche campane, clan calabresi o gruppi di origine pugliese, inducono a ritenere che la criminalità organizzata consideri la regione «un luogo sicuro dove cercare rifugio, in cui è agevole, anche per la disabitudine locale a confrontarsi con il tema, allestire proprie “reti di assistenza”».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto