«La mafia in Friuli c’è dal 2012, per ora non vuole il sangue»

Parla l’inviato de “l’Espresso” che ha scoperchiato il caso Roma: «Da voi opera il clan Mancuso, la ’ndrangheta sta investendo soldi»

UDINE. Lirio Abbate è il giornalista dell’Espresso le cui inchieste, cominciate nel 2012, hanno dato impulso alle indagini degli inquirenti aiutando così a scoperchiare “mafia capitale”.

Come è cominciata questa inchiesta giornalistica?

«Da una serie di episodi. Ti guardi attorno, cominci a capire chi comanda in una certa zona, chi fa i recuperi crediti, ascolti, fai domande anche in ambienti borde line, metti assieme le cose e racconti».

La sua indagine ha dato impulso a quella della Procura?

«Probabilmente tutto è cominciato parallelamente. La Procura già in precedenza aveva lavorato su alcune di queste persone. L’arrivo del nuovo procuratore Giuseppe Pignatone ha dato impulso all’indagine. Nel frattempo io ho proseguiti il mio lavoro con altre puntate, l’ultima delle quali è uscita a settembre».

Da quando vive sotto scorta?

«Da sette anni. È tutto documentato su Internet per cui le evito questo capitolo».

Il personaggio: autore di grandi inchieste, ha ricevuto numerosi premi
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La mafia che sta emergendo a Roma è diversa da quella dell’immaginario collettivo? E se sì in che cosa?

«La “mafia capitale” di Massimo Carminati è una mafia che non ha collegamenti con altre mafie, ma viene indicata come tale perché usa modalità intimidatorie e mafiose e si nutre di collegamenti con la politica e l’imprenditoria. Infine, usa estorsioni e intimidazioni con la violenza e realizza grandi business.

Rispetto alla banda della Magliana...?

«Ha mutato e perfezionato i metodi fino a diventare organizzazione criminale organizzata».

Ma non spara, non uccide...

«Sì, evita omicidi e sangue perché così eviti anche che la gente dica che esiste la mafia, che partano indagini e che si possano accendere i riflettori dei media. Tutto questo perché mantiene il controllo del territorio in accordo con altri clan. Ecco, tutto questo accade dentro il raccordo anulare di Roma e questa è “mafia capitale”.

È un salto di qualità della mafia o una mutazione per così dire strumentale?

Carminati arriva dall’eversione nera, dalla lotta armata, dalla banda della Magliana, ha collegamenti con la mafia siciliana e con apparati deviati dello Stato. Così è diventato un leader nell’ambito criminale. Molti dei personaggi coinvolti con lui hanno trascorsi da militanza “nera”. Ma qui l’ideologia non c’entra».

Business con metodi mafiosi e basta?

«Si, Carminati ha soltanto l’idea di fare tanti soldi, tantissimi soldi. E ha bisogno di corrompere. E se non ci riesce, interviene con intimidazione e/o violenza».

Ritiene sia un modello esportabile?

«Sicuramente se ci fossero menti in altre città. Per il momento viene esportato nelle altre province da altre organizzazioni come la ’ndrangheta. Lei vive a Udine. Beh, la sua provincia è pervasa da personaggi della ’ndrangheta, in particolare della famiglia Mancuso di Vibo Valentia».

E questi personaggi come li definisce e cosa hanno o stanno facendo in Friuli?

«Hanno investito e stanno investendo su attività lecite».

Come individuare questi personaggi?

«La mafia non la vedi. Non sta ammazzando, non ha bisogno di farlo. Ha personaggi in attività che stanno facendo business senza fare casino. Lo ripeto: non vogliono spargere sangue. Lo hanno capito dalle stragi di Falcone e Borsellino che così operando hanno tuto da perdere».

E quindi meglio metodi soft per usare un eufemismo?

«Certamente! Meglio piegare le persone con la forza del denaro. Questi Mancuso manovrano grandi quantità di cocaina e hanno bisogno di investire questi enormi proventi, per cui lo fanno in zone dove non ti accorgi che stanno arrivando. Sono personaggi pieni di banconote e che prestano volentieri a chi è in difficoltà e magari non sa chi ha di fronte».

Quando è arrivata la ’ndrangheta in Friuli?

«Quella dei Mancuso nel 2012. In zona probabilmente contava su persone che conoscono il territorio. Gli investimenti sono cominciati, lo ripeto, due anni fa».

Ma ci sono denunce, inchieste che possono acclarare tutto questo?

«Risulta da inchieste giudiziarie aperte tra Catanzaro e Reggio Calabria dalla Direzione distrettuale antimafia».

Si sente di dare qualche consiglio?

«Devi avere gli anticorpi per individuare i mafiosi. Oggi non hanno la coppola, il gilet di velluto, il doppiopetto. Devi aprire gli occhi e capire cosa fare». Anche investigatori e giudici dovrebbero aprire di più gli occhi. Molte volte gli investigatori ci vedono bene,ma i giudici, non i pm, credono che la mafia esista soltanto in Calabria e Sicilia. Invece, è radicata ovunque e cerca di corrompere la parte sana, come insegna la vicenda di Roma».

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