Italicum: garantito il Trentino, ma non il Friuli

È il contenuto della relazione Istat che ha prodotto i 2 collegi. «Suddivisione necessaria per tutelare la minoranza slovena»

UDINE. La spaccatura del Friuli in due collegi elettorali distinti è figlia – da un punto di vista strettamente tecnico e tralasciando le scelte politiche prese al momento dell’approvazione dell’Italicum – dei criteri di determinazione decisi dalla Commissione di esperti istituita da palazzo Chigi.

La Commissione si è avvalsa del supporto tecnico fornito da un gruppo di lavoro dell’Istat formato ad hoc – di cui faceva parte anche Paolo Feltrin, docente di scienza della politica all’università di Trieste – e che ha di fatto sancito la fine dell’unità della Provincia di Udine oltre a ridurre, di molto, lo spazio di manovra per apportare in Parlamento i correttivi necessari a uno schema che, in Fvg, non piace praticamente a nessuno.

Criteri obbligatori

Il modus operandi adottato dall’Istat è stato presentato, dal presidente dell’istituto Giorgio Alleva, ai componenti della commissione Affari costituzionali del Senato che ha cominciato, lunedì, ad analizzare il testo del decreto legislativo trasmesso a palazzo Madama dal ministro per le riforma Maria Elena Boschi.

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Il gruppo di lavoro ha stabilito una serie di criteri fissi, il cui rispetto, cioè, era obbligatorio in ogni caso. Il primo paletto è quello che fissa il numero totale dei collegi nazionali a 100 (quindi con una media di circa 600 mila abitanti ciascuno ndr), mentre il secondo impone come lo scostamento rispetto alla media di popolazione dei collegi della circoscrizione – una per Regione – non superi il 20 per cento in eccesso o in difetto.

Sono soprattutto, però, gli ultimi due criteri a interessare più da vicino il Friuli Venezia Giulia. La Commissione, infatti, non soltanto ha imposto la «coerenza del bacino territoriale e la continuità territoriale di ciascun collegio» salvo il caso di porzioni insulari, ma ha anche vincolato l’inclusione delle minoranze linguistiche riconosciute nel minor numero possibile di collegi, perchè «solo così si tutela al meglio la minoranza slovena».

Aggiungendo pure la specificazione di come «il criterio si applica esclusivamente per la formazione dei collegi del Fvg, dal momento che le altre minoranze linguistiche riconosciute si trovano nelle Regioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige», escluse dall’applicazione del riparto su scala plurinominale.

Criteri di norma

Sono i vincoli che, schematicamente, pesano come macigni sulla realtà locale e che di fatto rendono inutili i criteri facoltativi, o meglio da seguire di norma secondo il gergo dell’Istat, stabiliti dalla Commissione. Un peccato, perché l’applicazione di almeno un paio di quei vincoli avrebbe potuto salvaguardare l’integrità del Friuli.

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Parliamo del primo punto, quello che fissa la corrispondenza dei collegi «all’estensione territoriale di una provincia» o a quella risultante «dall’accorpamento di province diverse, purché contermini» e dell’ultimo che spiega la necessità di «valutazione di omogeneità economico-sociale e delle caratteristiche storico-culturali» dei collegi plurinominali.

Senza dimenticare come nel caso di province di dimensione estesa, e Udine vi rientra appieno, la definizione dei collegi poteva essere effettuata «utilizzando i territori uninominali del 1993 per l’elezione della Camera dei deputati».

Cioè lo schema contenuto nel vecchio Mattarellum che per il Friuli Venezia Giulia disegnava geografia elettorale formata da dieci collegi uninominali senza alcuna “contaminazione” tra le quattro province.

Una realtà, però, spazzata via dall’Italicum e dagli obblighi di tutela degli sloveni per la nostra regione visto che, come certifica ancora l’Istat nella sua relazione, nel caso «di quattro collegi uninominali nel 1993 della circoscrizione Friuli Venezia Giulia, la suddivisione si è resa necessaria al fine di includere la popolazione appartenente alla minoranza linguistica slovena nel minor numero possibile di collegi plurinominali».

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