Il medico in prima linea: «A marzo il nostro sacrificio veniva riconosciuto. Non è più così, ma noi andiamo avanti lo stesso»

UDINE. Il dottor Carlo Tascini, direttore del reparto di Malattie infettive all’ospedale di Udine, è in prima linea, al fronte, a combattere la seconda, imponente, avanzata del Covid 19. Una fatica improba che mette a durissima prova tutto il personale sanitario. Eppure lui è lì, bardato con tuta, mascherina, occhiali e visiera anti virus, praticamente a tempo pieno. Ma il tono della voce, nonostante tutto, non fa trasparire stanchezza o scoraggiamento.
Solo un momento di comprensibile rammarico, quando fa notare come l’atteggiamento, il sentiment dell’opinione pubblica, sia tanto cambiato oggi, rispetto a marzo e aprile. «C’era più solidarietà nei nostri confronti in primavera - osserva l’infettivologo - da parte della gente. Il nostro sacrificio veniva in qualche modo gratificato, lo percepivamo anche da piccole cose, come quando ci portavano le pizze in corsia. Ora non è più così, la natura umana tende a rimuovere, prima o poi, le malattie, le cose brutte. Ma noi andiamo avanti lo stesso».
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Dottor Tascini, a che punto è l’epidemia bis di Covid-19 in Friuli Venezia Giulia?
«Io vedo solo malati e reparti sempre più pieni: malattie infettive con tre piani tutti dedicati al Covid, pneumologia, medicina d’urgenza, terapie intensive e pronto soccorso. La pressione è costante, nonostante vi sia stata l’apertura di Palmanova, della Rsa di Gemona e di una struttura privata».
Dal suo punto di vista peggio adesso o a marzo?
«Ora ci sono molti più ricoveri rispetto alla primavera. Il lockdown totale aveva evitato il diffondersi del contagio, anzi aveva di fatto quasi azzerato la curva. È stata supportata l’economia, ma da settembre l’epidemia è ripartita».
Qual è il problema più urgente da risolvere?
«Purtroppo non si riescono più a rintracciare tutti i contatti dei positivi, perchè questi ultimi sono tantissimi. Il tracciamento, che pure era stato fatto in modo scrupoloso, è saltato, quindi diventa complicato bloccare i nuovi cluster dell’epidemia. E poi c’è carenza di personale nelle strutture sanitarie, serve personale altamente specializzato per far funzionare certi reparti. Siamo in affanno, non posso dirmi tranquillo, anche se il sistema sta rispondendo. Certo gli ospedali possono resistere, ma se andiamo avanti così saremmo costretti a fare delle scelte, cioè quelle di lasciare a casa altre patologie che non siano il Covid, speriamo di non arrivarci».
Non vede nessuna lucina in fondo al tunnel?
«Mah, sembra di notare una lievissima riduzione degli ingressi, c’è qualche indicatore in flessione, ma è troppo poco per essere ottimisti».
Quando ci sarà il picco della seconda ondata?
«Verso il 27 novembre, giorno più, giorno meno. Da allora il numero dei positivi dovrebbe cominciare a deflettere. Poi ci vorranno altri 15 giorni prima che il numero dei malati possa scendere e quindi far respirare un po’ gli ospedali».
Ci sono centinaia di pazienti che hanno bisogno di cure: voi come operate per salvarli?
«Abbiamo meno intubati nelle terapie intensive perchè vediamo che per molti sta dando risultati l’iperventilazione. In primavera non lo sapevamo, adesso sì. Cortisone ed eparina sono le uniche armi in nostro possesso. Il Remdesivir (farmaco antivirale) deve essere assunto nelle fasi iniziali dell’infezione, altrimenti non impatta in modo positivo».
Ogni giorno il bollettino dei morti riporta numeri a doppia cifra che fanno male...
«Adesso, con l’avanzare dell’epidemia, ci sono purtroppo i morti. Il Covid colpisce di più gli anziani, è vero. Ma nelle terapie intensive e sub intensive ci sono pure i giovani, molti ne vengono fuori, ma stanno anche a lungo in un letto di ospedale».
Nelle case di riposo il virus continua a fare danni. È così difficile blindare questi luoghi?
«Il virus è subdolo, circola molto e viene trasmesso dagli asintomatici. Possiamo rendere questi luoghi di cura off limits ai parenti degli ospiti, ma gli operatori devono pur andarci a lavorare».
Il vaccino è ancora lontano? O ci possiamo sperare?
«Le speranze ci sono che arrivi in tempi relativamente rapidi. Dovrà avere caratteristiche di sicurezza e dovrà stimolare una risposta immunitaria efficace».
Zone gialle, rosse, arancione. I divieti basteranno?
«Io sono un clinico e parlo per quello che vedo. Qui ci sono troppe invasioni di campo, tocca agli epidemiologi, di cui io mi fido moltissimo, decidere. Se la regola mi dice che devo fermarmi con il rosso, devo rispettarla e fermarmi, altrimenti posso causare un incidente. Se mi dicono di indossare la mascherina e di tenere il distanziamento sociale perchè così salvo delle vite, devo farlo. Questo non è il campionato di calcio dove ognuno dice la sua, ci sono delle regole e bisogna applicarle. Molti le regole le rispettano, sia chiaro, anche nei locali pubblici. I problemi sono fuori dai ristoranti, fuori dalle scuole».
Che Natale vivremo?
«Ho la famiglia in Toscana e spero di vederla per le feste. Potrebbero esserci, da qui al 25 dicembre, lockdown “chirurgici” e poi delle riaperture con regole rigide, almeno finchè non ci sarà il vaccino. Questa seconda ondata ha rovinato anche il record del Pil registrato in estate».
Dottor Tascini, ma lei si sente più affine al suo collega Massimo Galli o al suo predecessore a Udine Matteo Bassetti, che sono diventati volti noti della televisione?
«Voglio bene a Matteo, ma non faccio classifiche. Dico solo che noi medici non possiamo perdere tempo a litigare, dobbiamo dimostrarci coesi. Io non ho Facebook e non frequento i social, non entro nelle polemiche. E ora, scusi, mi metto a lavorare».
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