«Il leader solitario che risolve i problemi è solo un’illusione»

UDINE. Enrico Letta, 49 anni, è stato presidente del Consiglio dei ministri dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014. Nel 1998 è stato nominato ministro per le politiche comunitarie del governo D’Alema I, diventando il più giovane ministro, fino ad allora, della storia della Repubblica.
Successivamente, è ministro dell’industria nei Governi D'Alema II ed Amato II, e poi ancora sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri del governo Prodi II. Europarlamentare dal 2004 al 2006 nel gruppo liberaldemocratico, dal 2001 è deputato, iscritto dapprima al gruppo parlamentare della Margherita e poi a quello del Partito democratico, del quale è stato vicesegretario nazionale dal 2009 al 2013. Il 24 aprile 2013, Giorgio Napolitano, appena rieletto presidente della Repubblica, gli conferisce l’incarico di formare un nuovo governo.
Letta accetta l’incarico con riserva, che scioglie positivamente il 27 aprile 2013; lo stesso giorno presenta la lista dei ministri e il 28 aprile pronuncia il giuramento. Il 14 febbraio 2014 rassegna le proprie dimissioni a seguito della sfiducia votata il giorno precedente dalla Direzione nazionale del Pd. Il 19 aprile 2015 ha annunciato le dimissioni dalle sue funzioni di parlamentare, a decorrere dal primo settembre 2015, al fine di dedicarsi all’insegnamento universitario, accettando l’incarico di dirigere, dalla stessa data, la Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi (Institut d’études politiquesde Paris-Sciences Po).
Oggi Letta sarà a Pordenone e a Trieste.
Presidente Letta, partiamo proprio dal suo libro che oggi presenterà sia a Pordenone sia a Trieste. Il titolo è “Andare insieme, andare lontano”, che significa...?
«Ho provato a fare una riflessione proiettata sul futuro. Una riflessione che mette assieme e accomuna l’Europa e l’Italia, le cui politiche sono troppo concentrate sul leaderismo da un lato e su alcuni rigurgiti nazionalisti dall’altro».
Il primo aspetto si coglie bene. Mi spiega meglio i rigurgiti?
«Penso all’Europa e al fatto che insieme si va tutti più lontano. E penso soprattutto alla Germania che ha un approccio decisamente legato a un ragionamento nazionale. Ecco, credo che, invece, dovrebbe lasciare il passo alla dimensione europea».
Tornando allora al suo libro?
«Tornando al libro, ritengo - e spero di esserci riuscito - che voglia rappresentare una sorta di inno a riscoprire le ragioni di un’avventura comune. Insomma, un invito a uscire dale logiche individuali e individualiste».
Secondo lei a che cosa è dovuta questa crescita della logica leaderista che nei partiti, soprattutto negli ultimi anni, si è trasformata in una sorta di monarchia quasi assoluta?
«In effetti in Italia si è verificata una regressione leaderista che giudico in modo decisamente molto negativo. Ma questo non soltanto per alcuni, ma per tutti i partiti».
E la stessa deriva leaderista si è verificata anche nella riforma della scuola con il ruolo assegnato ai presidi, o sbaglio?
«La riforma della scuola, che alla fine ho votato, all’inizio del suo iter ha seguito quest’onda leaderista. Poi, per fortuna ha beneficiato dell’intervento del Parlamento che ha apportato significative migliorie a riprova che i problemi si risolvono meglio assieme. Da soli non si va lontano».
Da che cosa nasce questo desiderio dell’uomo solo al comando, allora?
«Fa parte del tempo che stiamo vivendo».
Nel senso...?
«La gente chiede che si affrontino i problemi e nel contempo spera che delegando tutto a una persona sola questi problemi trovino soluzioni. Credo si tratti più di un’illusione che di realtà. È un argomento che affronterò parlando del sindaco d’Italia e cioè del cambiamento di un sistema istituzionale a favore, appunto, di questa nuova figura».
Che, se intuisco bene, a lei non piace granché.
«Il sindaco funziona in una città e io stesso fui un sostenitore dei sindaci forti. Soluzione questa che ha funzionato e che funziona perché i cittadini si riconoscono nel sindaco e nel Comune. Ma credo sia una scorciatoia sbagliata quella di pensare di riproporre questo meccanismo a livello nazionale, come vuole la legge elettorale che è fatta apposta per il sindaco d’Italia».
Dilagano gli uomini soli al comando, nel mentre i contropoteri latitano, a cominciare dai partiti.
«In effetti c’è bisogno di un sistema di bilanciamento. Ripeto che, senza un Parlamento funzionante, la riforma della scuola sarebbe stata un disastro».
Anche nel Pd di fatto avete una sorta di leader maximo.
«Abbiamo scelto il meccanismo delle primarie e quel meccanismpo porta a una forte personalizzazione».
Le elezioni in Campania hanno oscurato le pretese del Pd di essere il partito integerrimo della moralità. Lei cosa ne pensa?
«La premessa è che la legalità vuol dire che le leggi vanno rispettate. In Campania si è deciso di candidare una persona che per la legge una volta eletta non potrebbe rimanere in carica. E la questione non è in linea con i valori tradizionali del Pd. De Luca, inoltre, è un candidato che non enterrebbe in carica. Insomma, è un pasticcio giuridico».
Non è che il Pd sta abbracciando la logica del potere, costi quel che costi?
«La questione è molto più complessa. In Campania si sono infilate le primarie vinte da De Luca. Era Berlusconi che cambiava le leggi ad personam».
L’addio di Civati?
«Mi dispiace e mi è dispiaciuto come sempre quando uno lascia il Pd. Credo si debba lavorare per evitare altri addii».
Forse il premier ha interesse ad altri addii interni, tanto poi si rifarebbe sui moderati delusi dall’altro Matteo. È così?
«Credo proprio di no».
Quindi non crede che quello possa essere un disegno renziano?
«Io ragiono sui fatti. No, non seguo questo ragionamento».
Crede che il Pd sia ancora quello del 40% delle europee?
«Mi sembra che le prospettive siano positive».
Dopo gli scontri interni, come farà il Pd a ritrovare la pax interna?
«Tutti ci devono mettere responsabilità a partire da chi guida che deve includere e non escludere».
Mai pensato di lasciare il Pd?
«No, e quando si vuole bene a un partito si deve dire le cose che non vanno».
Come vede il suo futuro?
«Da militante che dirà sempre quello che pensa con grande passione».
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