Il dramma di Ragogna dove morirono 10 persone

RAGOGNA. A Ragogna le donne avevano lasciato la chiesa da pochi minuti e il sindaco, Lorenzo Cozianin , si affacciava sulla piazza dopo aver convinto un amico a cedere il terreno sul quale avrebbe dovuto sorgere un distributore di benzina. All’improvviso, sentì tintinnare i tubi dell’impalcatura che aveva alle spalle.
«Cade il ponteggio» pensò e vide le mura del municipio squarciarsi. Salì al secondo piano del palazzo dove abitava, trovò le tubature scoppiate e i mobili davanti alle porte. Portata in salvo la famiglia, iniziò il “pellegrinaggio”tra le frazioni distrutte. In particolare a San Pietro e Villuzza.
«Nessuno aveva la percezione di quello che era accaduto - racconta - tutti pensavano che il confine non andasse oltre Ragogna. Non c’era luce, le linee telefoniche erano fuori uso e il sindaco non riusciva a chiedere aiuto. Contattò la stazione dei carabinieri e i vigili del fuoco: «Ho una decina di vittime - disse -, sei a San Pietro, alcuni a Villuzza».
I corpi senza vita rinvenuti sotto le macerie era l’aspetto tremendo di quella notte che Cozianin si porta ancora nel cuore. Adorno Moroso, già sottufficiale della Julia, da San Giacomo era andato a Villuzza per soccorrere i coniugi Domini da poco rientrati dal Canada.
Non sapeva che la figlia Mery era intrappolata in uno dei due condomini crollati a Majano. «Lo invitai ad andare là, riuscì a raccogliere le ultime parole della figlia e a portarla in ospedale, dove morì qualche ora dopo ignara che in quell’istante la figlioletta Raffaella ripeteva con la nonna Egle la poesia che avrebbe dovuto recitarle per la festa della mamma».
Quella stessa bambina, pochi mesi dopo, volò in Paradiso accanto a Mery. Cozianin si emoziona: «Era sfollata a Bibione. Una sera tornando a casa disse alla nonna “prendimi in braccio sono stanca” in poco tempo se ne andò per sempre. Aveva solo 5 anni». Pochi mesi ancora e morì pure il nonno ed Egle, che è ancora viva, rimase sola. Inconsciamente Raffaella e Adorno non accettarono lo strappo.
Cozianin non dimentica neppure la famiglia di emigranti che, due anni prima era tornata dalla Costa d’Avorio. Il padre di 39, la madre di 35 e la figlioletta di 9 anni, a San Pietro, non riuscirono a scampare alla furia del terremoto.
«C’era una montagna di macerie, iniziammo a scavare con le mani, ma per recuperare i tre corpi fu determinante l’intervento dei militari della divisione Mantova e Ariete» insiste l’ex sindaco che non avrebbe mai voluto identificare quei morti. Cozianin ricorda anche Zefferino Andreutti, l’operaio deceduto nel cantiere di casa sua. L’aveva aperto per renderla più sicura dopo la demolizione dello stabile vicino, venne giù una fetta di cortile e lo travolse.
Ma si doveva pensare ai vivi rimasti senza casa, senz’acqua, senza niente. Le risposte arrivarono dai volontari provenienti da tutta Italia. «Portarono tende e botti piene d’acqua, riaffiorò la speranza che un po’ alla volta la vita iniziava ad avere nuovi orizzonti». Sorsero le tendopoli, la più grande nel campo sportivo: «A Natale 1976 non avevamo più una persona nel litorale adriatico».

Fu un’estate difficile. Alla paura del terremoto alimentata dalle scosse di assestamento, si aggiunsero le piogge che resero impossibili le condizioni di vita in tenda.
«La gente navigava con i materassi nell’acqua» prosegue l’ex sindaco elencando le raccolte fondi organizzate dal quotidiano La Stampa, a Boves in Piemonte, a Bologna e in Umbria, dove staccarono un assegno da 30 milioni di vecchie lire per completare la costruzione della scuola materna.
A Ragogna arrivarono pure i fondi dal Cantone svizzero San Gallo e del Liechtenstein perché Cozianin dopo aver visto che la maggior parte degli aiuti andava ai Comuni più noti, una mattina alzò la cornetta del telefono e invitò l’allora assessore regionale, Renato Bertoli, a non dimenticare Ragogna.
Fortuna volle che proprio in quel momento Bertoli avesse di fronte i rappresentanti del Comitato pro Friuli di San Gallo e dirottò la donazione alla costruzione del centro sociale di Ragogna. Nacque così la Cjase San Gjal. La Caritas di Carpi invece realizzò il prefabbricato adibito a chiesa, perché a Ragogna il sisma distrusse anche le chiese di Pignano e San Giacomo.
«Don Carlo Ferino si oppose alla demolizione della chiesa di Pignano, non poteva accettare di ripartire da zero. Il «no» fu esteso anche per il previsto abbattimento della chiesetta alpina sul monte di Ragogna e della chiesa di San Giacomo. Ragogna risorse anche grazie, sono sempre le parole di Cozianin, alla manualità dei suoi abitanti: «Il saper fare era lo strumento della speranza».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto