I colossi fanno shopping di storici marchi friulani: dalla birra al latte ai prosciutti

UDINE. Lo stracchino Venchiaredo è solo l’ultimo caso della serie. Una lunga lista di cessioni d’azienda a gruppi nazionali e internazionali che in anni recenti, vuoi per la crisi economica, vuoi per la mancata trasmissione d’impresa, vuoi per un mercato sempre più globale e dunque complesso da governare, si è allungata a dismisura. Ci siamo lasciati scippare.
Spogliati uno dopo l’altro dei gioielli di famiglia. Bandiere di un territorio ricco di materie prime, tradizione e know how che ora ingrassa i conti altrui.
Parliamo dei tanti marchi del food&wine che da mani locali sono scivolati in quelle di grandi aziende. Ne ha fatto le spese il Friuli soprattutto, di qua e di là del Tagliamento, terra ricchissima d’ingegno, di saper fare, di imprese di famiglia fiorite in molti casi alla fine del XIX secolo e prosperate – dando lavoro e ricchezza – fino a che qualcosa, nella gestione, nei conti, nel mercato, non è andato storto e la mano arrivata in soccorso quasi mai è venuta dal territorio, spalancando così le porte agli investitori.
La spoliazione ha avuto inizio 70 anni fa, anno più anno meno. E capostipiti di queste operazioni di cessione d’impresa sono state le fabbriche della birra di cui il Friuli Venezia Giulia poteva dirsi allora una delle capitali italiane.
A partire dalla Dormisch, nata nel XIX secolo in Carnia, trasferita quasi subito a Udine e acquisita nel 1953 dalla Peroni che vi ha prodotto birra fino al 1989 quando ha chiuso definitivamente lo stabilimento. Nel 1975 è toccato alla triestina Dreher, acquistata dalla Heineken, quindi alla birra friulana per eccellenza, la Moretti. Nel 1996 lo stabilimento udinese è stato venduto al produttore canadese Labatt, passato poi a sua volta nelle mani di Heineken, che ha fatto del Baffone udinese un brand mondiale.
Dai 300 mila ettolitri prodotti allora, oggi il marchio è passato a 2 milioni di ettolitri. Peccato non si produca più in Friuli (bensì ad Assemini, Comun Nuovo, Massafra e Pollein).
Dalla birra al vino, ai prodotti dolciari e ancora a latte, distillati, prosciutti, acque minerali. Non c’è eccellenza del paniere Fvg indenne a questo assalto alla diligenza. Venendo ad anni recenti, ricordiamo l’ex Delser di Martignacco, stabilimento che produce biscotti (ma non solo) nato nel 1891 dal genio imprenditoriale dell’omonima famiglia friulana e passato nel 2008 in mani venete, quelle di Franco Rossetto, proprietario della Nuova Biscotti Crich spa di Zenson di Piave. Nel 2012 è la volta di Goccia di Carnia, acquisita da un fondo di private equity.
Nel 2015 esplode la crisi di Latterie friulane, il più grande e “vecchio” consorzio di trasformazione lattiero-casearia della regione. Inutili i tentativi di trovare una soluzione di salvataggio interna ai confini Fvg. Prova l’assalto Granarolo, ci riesce Parmalat. Il primo gennaio 2015 lavoratori, stabilimento e marchi passano dalla cooperativa alla multinazionale Lactalis.
Anche il vino è terra di conquista. Dal 2015 Le Vigne di Zamò, a Rosazzo, sono in mano a Oscar Farinetti (Eataly), da poche settimane Borgo Conventi, a Farra d’Isonzo, è di proprietà della famiglia Moretti Polegato (Geox).
Passando dal vino alla grappa è dei giorni scorsi la cessione della Distilleria Mangilli di Talmassons al gruppo Calabrese Caffo, mentre risale al 2016 il passaggio di mano della “Storica” Domenis di Cividale del Friuli, proprietà dell’imprenditore svizzero Alain Roubeli. Niente affatto esente dai venti di conquista la Dop San Daniele. In collina, nella manciata di chilometri in cui la fettina rosa si può produrre, gli imprenditori friulani si contano ormai sulle dita di una mano. Sono pochi e piccoli. Gli altri sono tutti big nazionali e internazionali.
Tra gli ultimi arrivati, nel 2017, c’è il gruppo francese Ca Animation che si è portato a casa la quota di maggioranza del celebre prosciuttificio Dok Dall’Ava. Questo per dare un’idea del fenomeno senza la pretesa d’essere esaustivi nei confronti del passato e tanto meno di quello che accadrà a breve.
L’elenco è infatti destinato ad allungarsi ancora. Basti pensare alla crisi finanziaria del gruppo triestino Kipre, al quale fanno capo gli stabilimenti sandanielesi Principe e King’s, finito in concordato preventivo. Il suo passaggio di mano è solo questione di tempo.
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