Gli impianti arrugginiti sulle montagne friulane dove non nevica più

UDINE. Piloni arrugginiti, skilift fermi da decenni e scheletri in cemento armato che fanno impressione solo a guardarli. È quel che resta degli impianti sciistici dismessi in Friuli Venezia Giulia. È quel che resta degli investimenti avveduti del passato realizzati in presenza di surplus di risorse e quando gli effetti dei cambiamenti climatici non erano ancora sotto gli occhi di tutti.
Si va da Verzegnis con la gloriosa sciovia Piombada a Valbruna dove l’impianto di risalita è stato chiuso una decina di anni fa perché non era più reddittizio.

Nelle altre vallate delle nostre montagne ci sono anche gli impianti dismessi di Andrazza (Forni di Sopra), Paularo, Ligosullo, Sella Nevea, Passo Tanamea e il tanto discusso impianto di Pradibosco (Prato Carnico) costruito una decina di anni fa e non ancora entrato in funzione. Nell’elenco c’ è anche lo skilift di Sauris dove è stato realizzato il lago per garantire l’innevamento artificiale.

Legambiente, Mountain Wilderness e Cipra (Commissione internazionale per la tutela delle Alpi) hanno monitorato gli impianti abbandonati regione per regionale per sensibilizzare gli amministratori sui costi dell’innevamento artificiale e sui cambiamenti climatici che fino a una certa altitudine non giustificano più gli investimenti.

In Austria hanno iniziato a dismettere gli impianti sotto i 1600 metri di altitudine. L’assessore regionale al Turosmo, Sergio Emidio Bini, ha già avuto modo di soffermarsi su questo aspetto: «Nella predisposizione del piano strategico abbiamo analizzato lo scenario climatico.
È inutile negare come nel tempo questo abbia subito un’evoluzione importante e tale da evidenziare il fatto di come, ormai, gli impianti sotto i mille e 300 metri di altitudine sono considerati, in prospettiva, fallimentari. Anzi, in Austria hanno cominciato a dismettere quelli sotto i mille e 600 metri».

A questa altitudine, però, in Friuli Venezia Giulia, sono ancora attivi diversi impianti. Quelli monitorati da Mountain Wilderness partivano da quote decisamente più basse.
Il dossier
L’impianto di Pradibosco (Prato Carnico) si snoda tra 1140 e 1370 metri di altitudine. Nel dossier viene indicato come dismesso perché le rilevazioni erano state fatte prima del completamento dell’opera che avrebbe dovuto entrate in funzione più di un anno fa.

La tempesta Vaja non l’ha consentito: «Rispetto al progetto iniziale è stato ridotto a un unico skilift» spiega il sindaco di Prato Carnico, Erica Gonano, assicurando che dopo aver ripristinato i danni provocati da Vaja ora l’impianto è in fase di collaudo tecnico-amministrativo.

Impossibile cambiare il corso della storia per la sciovia Piombada di Sella Chianzutan (Verzegnis) dismessa da tempo assieme al bar ristorante “Valle Verde”. Costuita nel 1967 f aceva parte dei “poli minori” di Promotur oggi Promoturismo che ha preferito puntare sullo Zoncolan, sul Lussari, Forni di Sopra e sul Piancavallo. Ad Andrazza (Forni di Sopra), invece, il villaggio “Pineland”, iniziato nel 1964, non è mai stato concluso. Resta, infatti, solo lo scheletro in cemento armato.
Dagli anni Settanta agli anni Novanta, quando la neve cadeva copiosa e si manteneva sulle piste per tutto l’inverno si sciava anche a Sella Duron (Paularo) e a Castel Valdajer. Altri tempi, oggi le immagini di quegli impianti sono conservate nei ricordi di pochi. Analoga sorte è toccata alla sciovia “Slalom” di Sella Nevea e all’impianto di Passo Tanamea ferma dal 1976.
Anche Cima Corso, la frazione di Ampezzo, resta una stazione sciistica d’altri tempi, qui la dismissione è andata avanti a tappe con gli amanti dello sci di fondo che si allenavano fino agli anni Novanta. A Valbruna, invece, lo stop è arrivano nel 2008 dopo 38 anni di attività. In passato è stato smantellato anche l’impianto di risalita sul Monte Matajur, lo skilift partiva da dove poi è sorto l’Osservatorio astronomico
L’appello
Difficile dire di una storia che merita di essere ricordata. Non a caso il presidente regionale di Legambiente, Sandro Cargnelutti, ricorda che «il cambiamento climatico ridurrà sempre più il demanio sciabile anche in regione dove le basse quote e l’apertura al mare rendono questo processo ancora più evidente rispetto al resto del territorio alpino e i margini operativi per intervenire ancora più ristretti».
Cargnelutti invita a «pianificare un futuro dove lo sci sarà un turismo di nicchia praticabile solo oltre i 1600, 1700 metri di quota senza i costosi accanimenti “terapeutici”».
Da qui la proposta di mantenere gli impianti dismesso a bassa quota, a testimonianza, quasi museale, di quanto rapido sia stato il cambiamento e lenta la nostra reazione. Una sorta di percorso di educazione ambientale che guardando al passato costruisce nuove consapevolezze. —
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