Gli assalti ai bancomat in Friuli targati “mala del Brenta” FOTO - VIDEO

UDINE. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Si può amaramente citare questo adagio popolare leggendo i nomi degli arrestati per i colpi ai bancomat in Veneto e in Friuli. Adagio che evidentemente non è tenuto in adeguata considerazione nelle aule di giustizia.
A leggere i nomi di Ivan Termini e Giovanni Golfetto tra quelli dei cinque arrestati in un'operazione congiunta di polizia e carabinieri di Trieste per l'assalto al supermercato Famila di Feltre (i cinque sono: Damiano Doardo, classe 1988 originario di Piove di Sacco e residente a Campolongo Maggiore; Giovanni Golfetto, nato a Udine nel ’69 e residente a Bibione; Federico Rosso del 1974, residente ad Arzer Grande in provincia a Padova; Ivan Termini classe ’59 nato a San Michele al Tagliamento e Roberto Arziliero sempre del ’59, residente a Ferrara e nato a Rovigo) chi scrive ha avuto un flash mnemonico.
E l’archivio del giornale ha confermato che non era un’illusione. Anzi!
A partire dal mancato assalto al furgone portavalori in programma a fine 1999.
Scriveva in proposito il 31 dicembre 1999 sulla cronaca del Messaggero Veneto il collega Alberto Lauber:
«Doveva essere una strage. Un autocarro avrebbe speronato in via Lumignacco, a Udine, il furgone portavalori della società Tergeste, che subito dopo sarebbe stato bloccato e ribaltato dalla pala di un escavatore.
A quel punto tre banditi armati fino ai denti sarebbero venuti allo scoperto, facendo saltare il blindato con mezzo chilogrammo di plastico.
Le guardie giurate a bordo del furgone sarebbero morte o sotto la raffica dei kalashnikov imbracciati dai malviventi o per gli effetti dell’esplosione.
La banda era pronta anche a sostenere un conflitto a fuoco con le Forze dell’ordine, nel caso queste fossero intervenute. Tutto ciò per mettere le mani sui contanti trasportati dal portavalori, che aveva appena completato un giro di prelievi in vari supermercati del capoluogo della Sinistra Tagliamento.
L'escavatore che doveva essere usato per l'assalto al portavalori alla periferia di Udine a fine 1999
Si trattava di una cifra ingente, pari ad alcuni miliardi. Questo drammatico scenario sarebbe potuto diventare reale se dal Comando dei Carabinieri di Pordenone non fossero partiti segnali di allerta diretti ai colleghi udinesi e se lunedì sera i militari dell’Arma non fossero intervenuti in via Lumignacco, facendo deviare il portavalori della Tergeste un chilometro prima del punto in cui erano acquattati i banditi.
I Carabinieri - coordinati dal sostituto procuratore friulano Giancarlo Buonocore - stavano seguendo i movimenti del commando da un paio di mesi ed erano al corrente del fatto che l’agguato sarebbe scattato proprio lunedì sera.
Per evitare lo scontro a fuoco - che avrebbe potuto coinvolgere anche le automobili di passaggio in via Lumignacco - i militari dell’Arma hanno preferito avvertire le guardie giurate, deviandone la marcia.
I banditi, rimasti sorpresi dal mancato arrivo del loro obiettivo, hanno lasciato sul posto l’autocarro e l’escavatore, riportando invece le armi in un nascondiglio: un anonimo garage nel centro di Udine.
I Carabinieri non li hanno mai persi di vista e innanzitutto hanno sequestrato le armi. Tra martedì e ieri mattina hanno poi raggiunto i tre malviventi che si trovavano in via Lumignacco e un quarto componente della banda, che non aveva partecipato materialmente all’azione, svolgendo compiti organizzativi.
Quest’ultimo è un friulano incensurato abitante nella zona collinare della provincia di Udine. Il resto del commando era composto da un udinese e da altri due uomini (uno raggiunto a Roma, l’altro a Padova), già noti alle forze dell’ordine per analoghi reati.
Tutti e quattro sono in stato di fermo con le accuse di tentata rapina, detenzione e porto illegale d’armi e di esplosivo, furto dell’auto e dell’escavatore.
L’inchiesta - come accennato prima e come è stato precisato ieri a Udine in una conferenza stampa - è nata a Pordenone in seguito alle indagini seguite dal Pm Facchin in relazione ad alcune rapine.
Poi il campo d’azione si è trasferito a Udine e così l’inchiesta è finita nella mani del Pm Buonocore, che ieri ha precisato di essere soltanto al principio dell’inchiesta e di non poter ancora divulgare le generalità dei quattro fermati. Tra qualche giorno sarà resa nota l’intera operazione».
Giorni dopo i nomi tra cui uno già citato: «Si tratta di Giovanni Clarino, 32 anni, di Coseano; Ivan Termini, 40 anni, di Udine; Mariano Magro, 35 anni e Flavio Meneghetti, 37 anni, entrambi di Legnaro (Padova)».
Quanto a Golfetto, le prime tracce sono del 1997. Sul Messaggero Veneto di allora si legge:
«Come fa un bagnino a trovare i soldi per una moto di grossa cilindrata, viaggi esotici, puntate al casinò e vita notturna? Semplice, rapinando sessanta banche e facendola franca. Non è una barzelletta, ma quanto effettivamente accaduto al confine tra le province di Pordenone e Treviso, dove i Carabinieri della sezione antirapine dei due capoluoghi hanno chiuso un’indagine che ha portato all’arresto di Simone Zammarian, 20 anni, giovane incensurato residente a San Michele al Tagliamento. Professione di copertura bagnino, professione reale rapinatore, nemmeno tutti i mesi dell’anno. Stando a quanto accertato dagli investigatori, Zammarian agiva, insieme a due complici, da gennaio a maggio, fermandosi poi per qualche mese (nel quale esercitare il lavoro di facciata) e ricominciando da ottobre. L’accusa, nei confronti del bagnino, non ha certo fatto sconti: l’imputazione è infatti di aver messo a segno i sessanta colpi, "racimolando", insieme ai due complici (uno dei quali arrestato e un po’ meno insospettabile, perchè al centro di precedenti indagini avviate per altra causa; si tratta del fruttivendolo Giovanni Golfetto, 28 anni, residente pure lui a San Michele al Tagliamento) un bottino di circa due miliardi. All’indagine è sfuggito un terzo complice, che gli investigatori stanno attivamente ricercando nella nostra regione e nel vicino Veneto».
Ma il 13 aprile 2010 la collega Manuela Boschian scriveva l’articolo che segue che rivela l’antico sodalizio tra Golfetto e Termini:
«Ritenuto il capo di una delle "bande dei bancomat", è stato arrestato a Livorno dai carabinieri del Reparto operativo di Pordenone mentre stava per imbarcarsi su un traghetto per la Corsica.
E’ finito così, per il trentanovenne Giovanni Golfetto, pluripregiudicato, il tentativo di fuga che l’avrebbe portato a una latitanza dorata in Brasile.
Giovanni Golfetto, originario di San Michele al Tagliamento (Venezia), vecchia conoscenza degli inquirenti di Triveneto, Austria e Germania, era da solo a bordo di un’Audi A6 station wagon, in attesa di imbarcarsi su un traghetto che l’avrebbe portato in Corsica e, quindi, in Spagna, Seychelles e Brasile, méta del suo piano di fuga.
Piano messo in atto nei giorni scorsi, nel momento in cui la polizia tedesca ha emesso nei suoi confronti un mandato di cattura europeo, ritenendolo responsabile, con altri due complici, di un furto a un bancomat nei pressi di Monaco, che aveva fruttato alla banda oltre 100 mila euro.
Oltre alla polizia tedesca, però, sulle sue tracce si erano messi anche i carabinieri del Reparto operativo - Nucleo investigativo (comandati rispettivamente dal colonnello Walter Rossaro e dal capitano Mauro Maronese) del comando provinciale di Pordenone.
I quali, a loro volta, lo ritengono autore di almeno due analoghi "colpi all’acetilene" messi a segno in provincia nel dicembre 2009.
Potrebbe esserci la firma della "banda Golfetto", infatti, sugli assalti al bancomat della Bcc di San Giorgio e Meduno a San Martino al Tagliamento (3 dicembre 2009), alla cassa continua del Decathlon di Fiume Veneto (8 dicembre) e, forse, alla cassaforte del supermercato Coop di San Vito al Tagliamento (18 dicembre).
Da un certo momento in poi, polizia tedesca e carabinieri pordenonesi hanno quindi operato in sintonia. E se la moglie di Golfetto - Martina Pangrac, 40 anni, croata, ritenuta parte attiva del gruppo assieme a Ivan Termini, altro pluripregiudicato di San Michele al Tagliamento - è finita nelle celle teutoniche già una ventina di giorni fa, sabato sul friulano sono piombati i militari del Rono di Pordenone.
Portato nel carcere di Livorno, l’uomo è in attesa di essere estradato in Germania, in quanto è la Procura tedesca, per tutta una serie di motivi, ad avere in questo caso la "precedenza" su quella italiana.
Nell’Audi - marca di auto verso la quale Golfetto deve avere un debole, essendo ricorrente anche in sue trascorse attività illecite - gli investigatori hanno trovato materiale inequivocabile.
Si va da quattro maschere in lattice di ottima fattura, dai lineamenti anonimi perfetti per alterare i propri, alla copia di una pistola Beretta 92 calibro 9, a una confezione di colla acrilica che, spalmata sui polpastrelli, impedisce che vengano rilevate le impronte digitali.
Da dire, infine, che Golfetto e altri della sua banda erano usciti dalle carceri austriache a ottobre 2009, dopo aver scontato 5 anni di reclusione sempre per la loro "specializzazione" di assaltatori di bancomat».
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