Ecco come Gaiatto truffava i risparmiatori

La promessa di lauti profitti e le scuse per le mancate restituzioni dei capitali. Sottolineato anche il ruolo dei collaboratori

PORDENONE. Un plico di 104 pagine, ben 41 delle quali utilizzate soltanto per l’elenco e le generalità delle 1.106 parti civili ammesse al procedimento, che aspettano risarcimenti stabiliti in oltre 20 milioni di euro. Sono le motivazioni – depositate dal giudice Eugenio Pergola – della sentenza nei confronti di Fabio Gaiatto, il 44enne portogruarese ritenuto principale responsabile della maxi-truffa che ha messo in ginocchio risparmiatori di Friuli, Veneto e non soltanto, condannato a 15 anni e quattro mesi di reclusione in rito abbreviato, 36 mila euro di multa e confisca di beni appunto sino a 20 milioni per associazione a delinquere, truffa aggravata, abusivismo bancario e finanziario, autoriciclaggio.

Le truffe

Nella sua minuziosa analisi dell’incredibile operazione messa in atto da Gaiatto, il giudice parte da lontano, dalle prime indagini mosse dalla guardia di finanza a febbraio 2016: l’uomo esercitava attività di investimento e di gestione collettiva del risparmio senza possedere la prescritta abilitazione, operando tramite la società di diritto sloveno Venice forex investment, con sede legale a Capodistria e succursale a Portogruaro, la quale si presentava come «giovane e dinamica società di servizi finanziari, che opera nel mercato valutario del forex portando profitti agli investitori proponendo soluzioni personalizzate».

Di questa società, nel sito web a essa riferito, Gaiatto risultava direttore, la moglie Najima Romani e Marco Drigo i proprietari. La Venice prometteva lauti profitti anche a fronte di investimenti minimi e per procacciare clienti Gaiatto si avvaleva – scrive sempre il giudice – di collaboratori.

«Venivano proposti – è la dichiarazione di uno dei testimoni – investimenti con ottimi rendimenti e con assoluta assenza di rischi. Qualora il mandante volesse richiedere la somma guadagnata e/o il capitale, il tempo di erogazione sarebbe stato pari a 6 giorni lavorativi».

In realtà alcuni truffati che avevano chiesto la restituzione del capitale si erano visti accampare diversi pretesti e addirittura paventare la possibilità che l’eventuale decisione di adire le vie legali avrebbe avuto ripercussioni su di loro. Gli incontri con i clienti avvenivano spesso in un bar di Portogruaro. Molti di loro, vista la frequente irreperibilità di Gaiatto, avevano sporto querela solamente dopo aver saputo la notizia del suo arresto, comprendendo soltanto allora di essere stati truffati.

Artifizi e raggiri

Il giudice individua una serie di condotte fraudolente, in primis l’omessa informazione ai clienti della mancanza di abilitazione a operare sul mercato forex. Nell’interrogatorio del 27 aprile 2018 Gaiatto aveva riferito di non riuscire «a mettersi in regola in Italia». Ma lui non aveva neppure una preparazione specifica in materia per operare in un mercato (forex, appunto) caratterizzato da estrema rischiosità.

E poi il mancato investimento a nome del cliente: sulle piattaforme forex designate, tra cui Ig Market, non risultava attivata alcuna posizione a nome degli investitori, ma esclusivamente a nome di Gaiatto e di Venice investment: così l’ex trader distraeva a proprio vantaggio i fondi che riceveva.

Somme di cui non era indicata la destinazione e che non venivano investite: dal software gestionale della Venice si è ricavato un ammontare di 72 milioni 640 mila euro raccolti, per un importo al netto delle provvigioni corrisposte (4,7 milioni circa) di 67,9 milioni di euro, di cui risultavano investiti nel trading appena 1,2 milioni. Gaiatto aveva giustificato il mancato investimento riferendo, nell’interrogatorio del 27 aprile 2018, di essere stato vittima di una truffa.

False promesse

Gaiatto attraverso un separato sito internet consentiva al cliente di ottenere la rendicontazione del proprio investimento: rendimenti risultati del tutto fittizi – scrive il giudice – frutto di mero esercizio di fantasia. Inoltre nella sezione “Chi siamo” del sito Venice sino al 2016 appariva scritto che la società garantiva «un guadagno minimo del 10% su base trimestrale».

Ai clienti venivano distribuiti soldi investiti da altri, spacciandoli per rendimenti, secondo lo schema Ponzi – sistema economico di per sé fraudolento – in cui i guadagni derivavano non da attività produttive o finanziarie, bensì dalle quote pagate dai successivi investitori.

L’ammontare complessivo dei proventi delle truffe è di circa 43 milioni di euro (circa 72 milioni raccolti e 28 retrocessi a clienti), dei quali circa 4 milioni sono finiti ai collaboratori imputati in procedimento connesso, come provvigioni (illecite). Un milione effettivamente investito all’inizio sul mercato forex e circa 15 milioni destinati ad attività di autoriciclaggio. Sicché mancano all’appello circa 23 milioni di euro.

I procacciatori hanno coinvolto 777 investitori, per 14,5 milioni di euro. Il più “attivo” è risultato Giulio Benvenuti: 140 clienti per un totale di 3,11 milioni di euro e 470 mila euro di provvigioni incassate. È stata posta in essere un’azione tesa a rabbonire i clienti man mano che cresceva il malcontento, con scuse e pretesti vari, continuando a promettere pagamenti di interessi e rimborso di capitali, spostando molto avanti nel tempo la piena consapevolezza del raggiro da parte degli investitori.

Autoriciclaggio

Gaiatto e la moglie risultano avere reimpiegato parte delle somme nell’acquisto di immobili a Lignano, Cordovado, Bibione, Portogruaro, Aviano, Pramaggiore, Pieve di Soligo, Fossalta di Portogruaro, Annone Veneto, Jesolo e Capodistria. Inoltre l’ex trader esercitava abusivamente attività finanziaria, tramite società a lui riferibili e mediante anche l’apertura di uffici in Slovenia e Croazia: erogati prestiti per complessivi 11,5 milioni a 78 clienti.

«A fronte di una simile gravità delle condotte e dei danni arrecati – rimarca il giudice – Gaiatto non ha mostrato alcun segno concreto di ravvedimento. Nel corso dei suoi interrogatori ha spesso mentito e minimizzato. E una vera confessione non c’è mai stata».
 

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