Claudio, il camionista che recupera trattori per hobby

Roveredo in Piano: aveva cominciato con un Landini, poi quello di famiglia e in pochi anni è arrivato a 15: «Addio weekend, ma è una passione»

ROVEREDO IN PIANO. «Sogno un Landini testa calda». Chissà che prima o poi non arrivi, ad arricchire la collezione di Claudio Bortolotto, cinquantenne autotrasportatore di Roveredo in Piano con l’hobby del restauro dei trattori.

Una passione che ha radici nell’infanzia («alle elementari durante le vacanze lavoravo nell’azienda di mio zio»), che ha concretizzato da pochi anni, quando ha deciso di rimettere a nuovo un vecchio mezzo agricolo: alcuni mesi di lavoro (ovviamente nel tempo libero), di ricerca dei pezzi di ricambio, ed ecco il risultato.

Da lì, uno dopo l’altro, sinora siamo a sedici trattori rimessi a nuovo. Vengono esposti una volta l’anno durante una festa di famiglia, una sorta di vetrina relativa a un pezzo di storia dell’agricoltura nostrana, e custoditi in un capannone dove gli spazi liberi sono sempre meno.

Nel tempo libero l’autotrasportatore lavora un piccolo appezzamento coltivato a erba medica e frumento, qualche frutteto e l’orto.

Otto anni fa Claudio Bortolotto viene in possesso di un Landini del 1986, relativamente recente, tra tutti quelli sui quali metterà le mani successivamente.

«È il primo restaurato, ma anche il più “nuovo”. In famiglia usavamo Renault, per lavorare la terra». Alcuni mesi di lavoro e quel Landini arrugginito e scarsassato con vernice opaca, sbiadita da tanto tempo sotto il sole, era tornato nuovo e funzionante.

«Subito dopo ho voluto provare a rimettere a nuovo un secondo mezzo». E così acquista un Deutz del 1958: altri mesi di lavori, sacrificando sabati e domeniche, ed ecco che anche il secondo modello torna nuovo. Gli anni sono passati e, nel frattempo, i trattori della collezione oggi sono quindici, gran parte Renault.

Ce n’è uno, però, che in famiglia viene considerato un’icona. Non tanto sotto il profilo economico quanto affettivo. È un Renault Junior, arrivato pochi mesi prima della nascita di Claudio Bortolotto.

«È quello che nel 1966 acquistarono i miei genitori, Carlo e Assunta, assieme ai nonni e ai fratelli, per lavorare la terra. All’epoca si viveva esclusivamente di agricoltura e di bestiame.

Questo mezzo è il simbolo della nostra famiglia, il ricordo più caro», assieme a un R56. Oggi i Renault Junior restaurati sono quattro: della “flotta” fanno parte anche tre Styer, due Deutz, un Om 513 detto “la Bestia” («sono sicuro che è il più potente di Roveredo»), e un Sametto.

«Tutti i fine settimana li trascorro nel capannone», per la fase di restauro vero e proprio. Prima, infatti, c’è quella della ricerca dei materiali di ricambio, di norma il venerdì appena rientrato dalla settimana su e giù per l’Italia con il camion.

«Per i Deutz vado a San Polo di Piave, per lo Styer a Cordovado, per i Renault a Basiliano. Ogni mezzo ha i suoi “vecchi” dai quali attingere».

Una sorta di eredità che si tramanda da un trattore a un altro, pezzo dopo pezzo. «Parto dal recupero del motore, quindi l’impianto elettrico e la carrozzeria, infine la verniciatura del monoblocco».

Recupera il più possibile i pezzi originali: «Ho amici che lavorano con il tornio e me li stampano; a Biauzzo mi preparano degli ingranaggi particolari».

Una volta completati, i trattori vanno nel loro parcheggio, nel capannone. «Ogni tanto li mostro agli amici e ci faccio qualche giretto».

A luglio, di questi giorni, la festa di famiglia, con amici, collaboratori, vicini. Nel campo adiacente l’abitazione Claudio Bortolotto espone i suoi quindici gioielli ai quali, presto, si aggiugeranno un Renault D3 e D6.

Ognuno porta qualcosa: Sergio Grizzo le porchette, il panificio Panontin di Azzano Decimo il pane, la cantina vinicola Canova di Vedovato Paron Bepi il vino. E danno una mano anche Claudio Bortolotto, Maurizio e Sante Cancian, Ezio Piccinin, Giorgio Sist, Claudio De Nardi, Bruno Parpinel e Giovanni Zanella.

In autunno Claudio Bortolotto parteciperà per la prima volta alla festa di ringraziamento: «Non è facile spostare i mezzi. Sono tutti assicurati e documentati, ma per circolare su strada devono avere l’arco antiribaltamento, le cinture di sicurezza montate, la marmitta protetta. Una volta nulla di questo era richiesto».

Gli amici? «Dicono che sono matto: la spesa di recupero non è indifferente, come il tempo che ci dedico. Ci sono pezzi di un centimetro quadrato che costano anche 40 euro, un ingranaggio nella scatola sterzo addirittura 80.

Eppure è più forte di me, a 6 anni giudavo lo Junior: sui banchi di scuola pensavo al momento in cui potevo tornare a casa per salire sul trattore». Da qui è nata anche la sua passione per i camion e per le macchine operatrici.

«Non ne vendo nemmeno uno – conclude Claudio Bortolotto –. Questo non è business, è passione. Vorrei avere tutta la serie Renault, dal D2 al D7, prima di fermarmi». Ah no, mancherebbe anche un Landini testa calda. Poi... si vedrà.

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