Caso Tallio, Del Zotto al Gip: «Ho messo io il veleno»

UDINE. «Sono stato io a mettere il tallio». Mattia Del Zotto, il 27enne di Nova Milanese in cella per aver
avvelenato i familiari uccidendone tre, interrogato sabato 9 novembre dal Gip di Monza, Federica Centonze, ha confessato di essersi occupato «personalmente» di contaminare gli alimenti che sapeva essere abitualmente consumati dai parenti. Lo ha fatto «sfruttando la vicinanza degli appartamenti», il suo e quelli di nonni e zii.
Al giudice ha ribadito, alla presenza del suo avvocato Silvia Letterio, di aver agito «per punire gli impuri». Il difensore ha chiesto al giudice che il suo assistito sia sottoposto a perizia psichiatrica.
«Schivo e chiuso», «poco espansivo», «riservato e timido». Mattia Del Zotto, il ventisettenne di Nova Milanese accusato del triplice omicidio dei nonni paterni e della zia Patrizia, è stato descritto così dai parenti e dalla badante degli stessi nonni. Una personalità complessa, diventata sfuggente negli ultimi due anni, con un’esistenza all’improvviso stravolta dalla perdita del posto di lavoro da magazziniere e - soprattutto - da un approccio distorto all’ebraismo.
«Viveva il credo in un modo tutto suo, con interpretazioni maturate probabilmente dopo la lettura di volumi e di informazioni assunte su internet», spiega il capitano Mansueto Cosentino, comandante della Compagnia dei carabinieri di Desio, che ha coordinato d’intesa con la Procura di Monza l’attività investigativa.
Un rosario di gesti ogni giorno più maniacali, ispirato a chissà quale estrema interpretazione della religiosità, ha fatto da tetra premessa agli incredibili avvelenamenti con il solfato di tallio messi in atto da Mattia. Che anche nelle ore dell’arresto, nelle battute degli interrogatori e nei primi giorni in carcere ha mostrato un’incrollabile lucidità, apparsa sconcertante ai più.
LA SVOLTA NELLA VICENDA
Con il tallio contenuto in uno dei sei flaconcini acquistati da una ditta di Padova dietro falso nome (si era presentato come Davide Galimberti) il ventisettenne ha avvelenato mortalmente i nonni paterni Giobatta Del Zotto e Gioia Maria Pittana, e la zia Patrizia Del Zotto. E ha mandato all’ospedale il marito di quest’ultima, Enrico Ronchi, la badante dei nonni, Serafina Pogliani, l’altra sorella del papà, Laura Del Zotto, prima che il veleno contaminasse - costringendoli al ricovero - anche i nonni materni, Alessio Palma e Maria Lina Pedon.
IL MISTERO, LE TAPPE DELLA STORIA
Il lavoro perduto
Riservato lo è da sempre, Mattia. Lo dipingono così i parenti, i vicini di casa, i conoscenti lontani. «Che io sappia, non ha mai avuto una fidanzata e gli amici che aveva, col tempo, li ha persi per il suo atteggiamento schivo», ha raccontato mamma Cristina ai carabinieri a metà novembre, quando la seconda ondata di avvelenamenti - quella che ha portato all’ospedale di Desio i nonni materni del ventisettenne - ha impresso la svolta decisiva all’inchiesta della Procura di Monza.
La svolta nell’esistenza di Mattia viene fatta risalire invece al 2015, ai mesi in cui perde il lavoro da magazziniere al Carrefour di Paderno Dugnano. Inizia lì la ritirata psicologica e fisica del ragazzo, che si chiude in sé stesso e abbraccia teorie estreme legate in qualche maniera all’ebraismo. Vive una vita all’insegna della privazione: dopo aver per dieci anni frequentato la palestra, abbandona l’attività fisica, non vuole che i termosifoni della sua camera siano accesi e non si sposta mai in auto o in bus, dove ritiene che ci siano «persone arroganti e che bestemmiano».
Il cambiamento drastico nel comportamento del giovane viene fatto coincidere dai genitori proprio con questa fase dell’esistenza e in particolare con la perdita del lavoro e il mancato ricollocamento. In pochi anni Mattia ha cambiato più volte occupazione: operatore in un call center, impiegato all’Esselunga e nell’impresa Addamiano di Desio, prima del lavoro da magazziniere al Carrefour.
La scoperta della religione
I comportamenti si fanno via via più enigmatici. Mattia è sfuggente: rintanato nella sua camera passa ore davanti al computer. Ai genitori racconta di cercare lavoro di avere delle collaborazioni on line. In realtà si informa, legge, approfondisce i temi della religione.
«Ci ha detto che non è più cattolico e che sta seguendo una religione» di cui non fornisce altri elementi ai genitori, spiega la mamma. Ai carabinieri spiegherà di aver abbracciato l’ebraismo. Secondo gli inquirenti l’idea dell’eliminazione degli impuri con cui il giovane ha motivato la strage dei parenti è da far risalire proprio a una interpretazione distorta di alcuni testi. «Ma non risulta affatto l’adesione a una setta, men che meno legata al nome del Concilio Vaticano II indicato dalla mamma», spiegano i carabinieri.
Il rapporto con i parenti
Mattia vive un rapporto conflittuale con mamma Cristina e papà Domenico. Racconta la madre che una volta il giovane si è presentato dai carabinieri per sporgere denuncia contro il padre, con il quale si sarebbe strattonato al culmine di un litigio. «Ultimamente ce l’ha con il mondo intero», ha detto sibillina mamma Cristina ai militari dell’Arma di Desio, che l’hanno sentita a metà novembre. «Però non credo sia in grado di fare del male a nessuno e comunque suppongo che nel caso si sarebbe rivolto prima contro di me e mio marito». Non è andata così.
Il legame con il padre, che probabilmente cercava un modo per scuoterlo, non era idilliaco, per usare un eufemismo («Con mio figlio non ho rapporto», ha dichiarato Domenico agli investigatori). E anche con gli altri parenti Mattia non aveva praticamente contatti: «A casa di tutti i nonni non andava da almeno un anno.
Quando mio suocero è stato ricoverato a giugno dello scorso anno, mio figlio non ha voluto più avere a che fare e così con mia suocera», ha indicato ancora Cristina, come riportato anche nell’ordinanza con la quale il Gip di Monza ha disposto la custodia cautelare in carcere di Mattia.
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