Calci e colpi con il manganello: condannati due carabinieri
Erano arrivati in supporto ai colleghi. Bisognava accompagnare al comando stazione Udine Est un ubriaco che, con la bici, pareva avere urtato un paio di auto nella zona del Terminal Nord e che si era messo poi a questionare con i proprietari: il suo stato di alterazione aveva reso necessario l’intervento di una gazzella dotata di cella di sicurezza. Eppure, da quella serata – era il 4 aprile 2018 –, alla fine l’unico a uscire malconcio era stato proprio lui. L’aggressione era avvenuta nella manciata di minuti impiegati per arrivare in sede e nell’oretta trascorsa poi negli uffici per redigere gli atti. E a picchiarlo, colpendolo a calci e con un manganello, erano stati appunto i carabinieri.
Così ricostruiti, i fatti sostenuti dalla Procura sulla scorta della denuncia dell’uomo, un 38enne originario della Moldavia e residente a Udine, sono costati al brigadiere Sergio Tarondo, 55 anni, di Campoformido, ora in quiescenza, e all’appuntato scelto Giuseppe Russo, 53, di Udine, entrambi all’epoca in servizio al Norm della compagnia carabinieri di Udine, una condanna per lesioni personali aggravate rispettivamente a 1 anno e 10 mesi e 1 anno e 6 mesi di reclusione (sospesi con la condizionale), oltre che al risarcimento dei danni alla parte civile, da quantificarsi in sede civile, ma con provvisionale di 6 mila euro. La sentenza è stata emessa dal gup del tribunale di Udine, Matteo Carlisi, al termine del processo che il difensore, avvocato Andrea Tascioni, aveva chiesto fosse celebrato con rito abbreviato, proprio perché convinto di avere elementi in grado di dimostrare l’innocenza dei propri assistiti. A cominciare dalla stessa consulenza medico legale del pm, che aveva parlato di compatibilità delle lesioni con diversi oggetti contundenti: compresi quelli presenti nella vettura di servizio, all’interno della quale l’uomo avrebbe dato in escandescenza, sbattendo la testa contro portiere e finestrini.
Ritenendo non veritiere neppure le versioni rese da altri tre carabinieri presenti in caserma, a loro volta inizialmente indagati e la cui posizione era stata poi archiviata, il giudice ha inoltre disposto la trasmissione degli atti in Procura nei loro confronti per l’ipotesi di reato di favoreggiamento. Le pene inflitte sono più alte di quelle chieste dal pm Giorgio Milillo, che aveva concluso per 1 anno e 6 mesi a Tarondo e 1 anno a Russo.
Era stato un passante, attorno alle 21.30, vedendo il moldavo uscire insanguinato dalla caserma, a soccorrerlo e chiamare l’ambulanza. Per circostanze che non è stato possibile chiarire, i sanitari erano arrivati e ripartiti senza caricarlo a bordo. Arrivato qualche ora dopo autonomamente in ospedale, all’uomo erano state riscontrate fratture mandibolari, lesioni ed ecchimosi alle cosce, per una prognosi di oltre 40 giorni. Con tutte le conseguenze del caso, tra interventi chirurgici e terapie, come ha ricordato il legale di parte civile, avvocato Francesco Scialino, che in udienza ha insistito pure sulla coerenza tra la ricostruzione temporale dei fatti e la responsabilità dei carabinieri: l’unica possibile, ha osservato.
Diametralmente opposte le conclusioni della difesa. A rendere inverosimile la ricostruzione accusatoria, per l’avvocato Tascioni, è anche l’altezza del divisorio della cella di sicurezza: 13 centimetri, sufficienti a malapena a infilare un braccio. Per non dire dell’assenza di un movente. «Quella non era una loro operazione – ha ricordato – e con lui non avevano mai avuto a che fare». Scontato l’appello. —
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