Banca di Cividale, Pelizzo si difende dal pm

UDINE. A chiedere di essere interrogato, ora che le indagini preliminari avviate dalla Procura di Udine quasi un anno fa si sono concluse, era stato proprio lui. Lorenzo Pelizzo, presidente della Banca di Cividale spa, voleva capire la natura e la dimensione delle accuse che gli erano state mosse contro, per poterle finalmente confutare, una per una, e dimostrare la correttezza del proprio operato. E così, almeno per quel che riguarda il chiarimento, è stato. Il faccia a faccia con il procuratore aggiunto Raffaele Tito, titolare dell’inchiesta che, con la forza di un tornado, ha investito otto persone, tra dirigenti della banca e imprenditori suoi clienti, accusati a vario titolo di ipotesi che vanno dall’estorsione alla corruzione tra privati e dalla violazione del Testo unico bancario all’induzione a dichiarare il falso agli inquirenti, si è tenuto ieri pomeriggio, nel suo ufficio al secondo piano del palazzo di via Lovaria.
«È stato un confronto leale, franco e cordiale», ha detto l’avvocato Maurizio Conti, difensore di fiducia di Pelizzo, al termine delle circa due ore di interrogatorio. «Il presidente ha risposto a tutte le numerose domande che gli sono state poste - ha riferito il legale - e che hanno spaziato a 360 gradi, dalle questioni contestate nel capo d’imputazione ad aspetti di carattere non strettamente giuridico». Compresa la “querelle” degli ultimi mesi sulla lunghissima durata - ben 43 anni - del suo incarico alla guida della banca.
«Sono state fornite tutte le informazioni che era possibile dare - ha continuato l’avvocato Conti -. Su molte vicende, però, non è stato aggiunto nulla a quel che la Procura ha scritto e sostiene, per il semplice fatto che lo stesso presidente ne è all’oscuro. Mi riferisco, in particolare, alla gestione delle tante operazioni finite nel mirino degli investigatori e di cui si occupano direttamente gli uffici. Dalla direzione generale in giù. Il compito del presidente è quello di dare gli indirizzi. L’operatività, poi, non è e non può essere affare suo. Una banca è costituita da diversi livelli».
Un caso per tutti: il finanziamento decennale di 18 milioni di euro concesso nel 2004 al commercialista Franco Pirelli Marti, nelle sue vesti di presidente di Ge.Tur scarl, per la costruzione dell’impianto sportivo di Lignano, che avrebbe ospitato i Giochi mondiali giovanili dell’anno successivo. Una pratica troppo complessa e impegnativa - ha fatto notare la difesa -, per pensare che a trattarla potesse essere stato il solo presidente, pur con tutto il consenso e l’influenza che aveva e che continua ad avere in seno alla Cividale. Come dire, insomma, che la valutazione sulla validità o meno di quella, così come di infinite altre erogazioni di denaro - ma anche di progetti, come la realizzazione della nuova sede e l’affidamento dell’appalto a “Steda spa” -, è sempre passata attraverso le mani di più persone. Fino all’approvazione - è stato ancora evidenziato - della relativa delibera da parte del Consiglio d’amministrazione nella sua interezza. Sugli aspetti legati alla vendita a Pirelli Marti, a un prezzo che la pubblica accusa considera esageratamente alto, dell’agriturismo che la moglie di Pelizzo possedeva a Cladrecis e alla quale sarebbe stata subordinato la concessione del finanziamento, invece, il presidente ha fornito tutti i chiarimenti del caso. Insistendo, in particolare, sulla congruità - perizia di stima alla mano - del prezzo pagato.
All’uscita dalla Procura, Pelizzo si è detto soddisfatto. «Il presidente confida di avere dissipato ogni dubbio sulla correttezza del proprio operato - ha affermato l’avvocato Conti -. Per gli ultimi tasselli, ci siamo comunque riservati di presentare una memoria difensiva, nella quale inserire anche documenti che riteniamo importanti, alla luce di quanto emerso nel corso dell’interrogatorio».
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