Aumenta il numero degli intossicati da monossido: in casa meno controlli sugli impianti termici

Un bollettino di guerra. Che viene aggiornato con preoccupante regolarità nelle giornate d’inverno. E’ quello delle persone costrette al ricovero perché intossicate dal monossido di carbonio, gas venefico capace di compromettere le vie aeree di chi suo malgrado si trova – spesso senza accorgersene – a inalarlo. Due morti a Pasian di Prato a ottobre, altri due all’inizio di gennaio a Dignano. E poi decine di intossicati, quasi quaranta nell’ultimo anno, concentrati per ragioni ovvie soprattutto nella stagione più fredda. Gli ultimi casi a Campolongo (otto persone coinvolte, due finite all’ospedale), Ragogna (un ventiduenne colto da malore mentre guardava la tv davanti alla stufa) e Palmanova (un’anziana con un principio di intossicazione causata dalla mancata areazione del suo appartamento).
Alla base della crescita degli episodi (oltre settanta in pochi mesi gli interventi dei vigili del fuoco) la manutenzione errata, il crescente ricorso al fai-da-te per l’assemblaggio delle stufe e un paradosso: perché le case di oggi – perfettamente isolate per contenere la dispersione termica – rischiano di trasformarsi in trappole fatali, con il gas che proprio a causa dell’isolamento non trova la via d’uscita, accumulandosi all’interno degli alloggi.
Nell’arco di pochi mesi (quelli invernali di inizio e fine 2017, più il gennaio che va concludendosi) i vigili del fuoco che fanno capo al comando provinciale di via Popone sono intervenuti in una settantina di occasioni per gestire situazioni a rischio, in cui il malfunzionamento dell’impianto termico ha provocato una combustione non regolare, con la formazione di monossido di carbonio in ambienti chiusi.
In una trentina di casi le persone che occupavano gli spazi presentavano sintomi da intossicazione o principio di intossicazione da gas. Che hanno portato, in due situazioni, alla morte: l’11 ottobre Felicita Floreani, 91 anni, e Mario Buelli, 69, residenti insieme al civico 39 di via Spilimbergo, a Passons di Pasian di Prato, sono morti a causa dell’esposizione prolungata al gas killer; l’8 gennaio Giovanni Deganis, 77 anni, e la moglie Lidiana Cargnello, 70, sono stati uccisi dallo stesso monossido, che ha ammorbato l’aria della loro casa di Dignano, riscaldata con antidiluviane stufe a metano.
Più di caldaie e impianti a gas portatili, tra le principali cause della formazione del monossido (che viene prodotto dalla combustione incompleta di qualsiasi combustibile fossile) figura l’errato utilizzo delle stufe a legna o a pellet. «Spesso si tratta di impianti acquistati e installati in autonomia, senza gli adeguati accorgimenti», aveva spiegato il direttore dell’Ucit, Angelo Belluzzo. «Questi dispositivi – aggiunge – non sono soggetti di fatto a controlli periodici, che invece sono obbligatori per legge per le caldaie: è evidente che in questo modo i rischi si moltiplicano».
E proprio dai vigili del fuoco del comando provinciale di Udine arriva la raccomandazione «ad acquistare strumenti omologati, efficienti, da far installare a professionisti del settore».
Quel che è certo è che sono in aumento i friulani che decidono di fare ricorso a stufe portatili, a pellet, senza dimenticare la presenza nelle vecchie case soprattutto di campagna degli inossidabili spargher, termocucine a legna utilizzate anche per riscaldare le abitazioni.
I dati sui controlli effettuati da Ucit in provincia di Udine nel 2016 - 6.628 ispezioni totali - hanno evidenziato 2.436 casi di irregolarità, con 223 situazioni che presentavano gravi problematiche, anche legate (in 45 occasioni) alle emissioni di monossido di carbonio.
Dopo le campagne nazionali e locali sulla necessità di operare puntuali controlli alle caldaie, «la sensibilità appare piuttosto calata, come confermano i dati delle nostre ispezioni», indica Belluzzo. Nel 2012 i controlli negativi erano nell’ordine del 20,87 per cento, saliti progressivamente a 26,80 nel 2013, prima del boom del 42,30 nel 2014, con una parziale attenuazione nel 2015 (41,21) e 2016 (36,75).
«In pratica si è tornati all’inizio delle attività di controllo, al 2002 – evidenzia il direttore dell’Ucit –. I motivi? Certamente quello dei costi, ma pure la scarsa sensibilità per le problematiche che i dispositivi termici possono comportare: siamo pronti a preoccuparci di fronte a problemi legati alla qualità delle acque, ma non siamo altrettanto attenti a quella dell’aria».
«Cefalea, vomito, nausea, stanchezza, fino a perdita di conoscenza, convulsioni e coma: sono i sintomi dell’inalazione del monossido. Fin dai primi – spiegano dal comando dei vigili del fuoco di Udine – è necessario che suoni il campanello d’allarme: in quel caso, è opportuno allertare il 112, aprire subito le finestre per areare i locali e condurre all’esterno della struttura contaminata le persone eventualmente alle prese con i sintomi da intossicazione».
L'esperto risponde
1. Angelo Belluzzo, direttore dell’Ucit srl: quali sono gli impianti più a rischio per le emissioni di monossido di carbonio?
«Ci sono problematiche di sicurezza legate a quello che potremmo definire come il fenomeno del fai-da-te. Capita con sempre maggior frequenza che, soprattutto per il riscaldamento di ambienti domestici, ci si affidi all’acquisto di dispositivi in punti vendita di grosse catene. L’installazione viene effettuata però in maniera autonoma, senza rivolgersi a personale qualificato: questo genera una situazione potenzialmente pericolosa, con dispositivi che a tutti gli effetti non sono sottoposti a controlli puntuali. Gli impianti che generalmente creano maggiori problemi sono le stufe a pellet, quelle a legna, quelle alimentate da biocombustibili».
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