Ad Artegna don Gelindo aiutò gli ultimi

Il terremoto del 1976 quarant'anni dopo. Il sacerdote utilizzava le donazioni per abbattere gli interessi sui mutui alle famiglie bisognose

UDINE. «Impossibile descrivere ciò che vidi ad Artegna l’8 maggio 1976. Persone, macerie, rumori, mezzi di ogni tipo, polvere». Qui operava don Gelindo Lavaroni, il parroco che affrontò con coraggio e generosità l’emergenza creata dal terremoto.

A ricordare la figura del sacerdote è l’architetto Paolo Bellina: «L’8 maggio non riuscivo a mettermi in contatto con lui e chiesi alle prime persone che incontrai sue notizie. “Al è ator pai borcs!” mi risposero. Sollevato nel saperlo incolume me ne andai. Conoscevo don Gelindo, allora cappellano nella parrocchia di San Marco in Chiavris dal 1956. Ci rivedemmo qualche mese dopo quando mi telefonò chiedendomi se me la sentivo di dare una mano alle persone che si rivolgevano a lui per essere aiutate nella ricostruzione. Anche la canonica era stata distrutta e don Gelindo viveva in un prefabbricato posto in mezzo al vigneto della famiglia Adotti».

La canonica, sono sempre le parole di Bellina, «era divenuta una comunità dove aveva accolto alcuni giovani sacerdoti che aveva seguito in seminario. Don Gelindo era consigliere, moderatore, freno e frusta dei giovani e irruenti sacerdoti che aveva voluto accanto a sè e con loro si fece promotore e sostenitore delle urgenze e delle istanze dei cittadini. Costituì, con donazioni pervenute dalla comunità di Vicenza e dalla Germania, un fondo per abbattere gli interessi sui mutui bancari che le famiglie più bisognose richiedevano per fronteggiare i costi della ricostruzione. Pose in opera sull’area ove sorgeva la Chiesa di San Rocco un nucleo di case prefabbricate utilizzato dai meno abbienti. Divenne un centro di ascolto per tutti coloro che lo desideravano».

«Si impegnò, conclude l’architetto, per la ristrutturazione dell’asilo parrocchiale, la ricostruzione della casa canonica per ospitare i sacerdoti. Si adoperò per la ristrutturazione della Pieve di Santa Maria nascente sul colle di Artegna e delle chiese di Sornico e San Rocco. Seguì i restauri delle cappelle dei santi Stefano e Leonardo. Con trepidazione e attenzione alle spese, senza alcun onere per la comunità, utilizzando le offerte. Si dedicò alla ricostruzione, in ’iazza Marnico, del teatro che gli è stato doverosamente dedicato».

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