Zaccheroni, messaggio alla “sua” Udinese: «Squadra buona per il salto di qualità, ora alzate l'asticella»

L’ex tecnico bianconero da Cesenatico: «Rosa fisica e di talento. Runjaic? Il campo lo tiene bene»

Antonio Simeoli
Alberto Zaccheroni 71 anni, ha allenato a Udine dal 1995 al 1998: è l’uomo del mitico tridente
Alberto Zaccheroni 71 anni, ha allenato a Udine dal 1995 al 1998: è l’uomo del mitico tridente

«Alzate l’asticella, quella è una squadra buona per farlo, ha tanta fisicità, ma quella ce l’aveva anche un anno fa, ha idee e talento. Provateci».

Il mare d’inverno, o quasi, è una meraviglia. Al Porto Canale di Cesenatico, dove Pantani andava a fare le foto dopo aver vinto Giro e Tour nel 1998, il mare, d’inverno, è ancora meglio. La temperatura è gradevole, a sinistra ci sono i palazzi di Cervia, a destra il grattacielo di Cesenatico è lì dai tempi di Mussolini. All’orizzonte in mezzo al mare le piattaforme petrolifere. E poi c’è lui, Alberto Zaccheroni, che ci attende nel locale (di successo) del figlio, un ufficio spiaggia trasformato in ristorante. Un po’ come lui, che ormai quasi trent’anni fa trasformò l’Udinese da provinciale con l’ascensore tra A e B a provinciale extralusso.

Alberto Zaccheroni, ha visto Milan-Udinese?

«Il secondo tempo. Non entro in polemiche, Var o balle varie, anche se col Var a Torino nel 1997 quel gol di Bierhoff dentro di mezzo metro magari ce l’avrebbero dato, ma ho visto una squadra forte. Che può alzare l’asticella. L’ho detto anche a Cannavaro e Cioffi, due miei ex allievi che la scorsa stagione l’Udinese l’hanno allenata: ragazzi quest’anno l’Udinese può alzare l’asticella».

La società è intervenuta sul mercato...

«Sì, ma guardate che anche nella scorsa stagione i giocatori c’erano. Ma per loro se ti sei salvato all’ultima giornata sei in una squadretta. No, non è così».

Del suo collega Runjaic cosa dice?

«Non lo conosco, ma il campo lo tiene bene».

E Lucca? È alto, forte di testa, lei ne ha allenato uno simile trent’anni fa...

«(sorrso, ndr) Sapete che Bierhoff mi chiama papà e ci sentiamo spesso? Sì, Lucca ha una gamba più veloce di Oliver, quando ha la palla riesce a far sponda e attaccare. Quando imparerà ad attaccare per linee diagonali e non andare dritto per diritto sarà difficile marcarlo. Gioca troppo spalle alla porta, quando costruisce si deve posizionare e vedere cosa fa il difensore, deve dare la soluzione ai compagni. Sapete come cambiò Bierhoff? Guardando palla e porta».

Mister, quindi l’Udinese la segue ancora?

«Certo, è la mia squadra. Poi ho allenato Milan, Lazio, Inter, Juventus, in Giappone chiamano i figli “Zac” perchè là ho raggiunto risultati straordinari e mi hanno accolto in modo incredibile, ma Udine resta la mia casa e l’Udinese la guardo sempre».

Ma come si fa ad alzare l’asticella?

«Intanto lo devono fare i giocatori. La cosa più difficile a Udine è convincerli che giocano in una squadra importante. Ai miei tempi sui giornali sportivi nazionali l’Udinese finiva in piccolo anche se dava del filo da torcere e batteva le grandi. I giocatori questo lo percepiscono e quindi ambiscono ad avere i titoloni. Ora con social e tv è pure peggio».

Com’era la sua Udine trent’anni fa?

«Colazioni da Ada in via Cosattini, vicino a casa mia, pranzi e cene sempre fuori perchè io non so cucinarmi nemmeno una bistecca, i Pozzo sempre in Spagna per lavoro, io, i miei collaboratori e Carlo Piazzolla a lavorare qui».

Poi nel fine settimana arrivava il Paròn per la partita...

«”Coooome andiamo”, immancabile la domanda».

Andò bene...

«Sì, ma se non avessimo vinto quel giorno di primavera del 1997 a Torino con la Juve, per quell’esperimento della difes a tre sono convinto che mi avrebbe esonerato».

Ce la ricorda quella “settimana santa”?

«Il povero Genaux si fa espellere dopo pochi minuti, era la Juve di Moggi e del mio amico Lippi, aveva appena battuto 6-1 il Milan. Penso che può finire malissimo. Allora dico ai ragazzi di giocare a tre in difesa, mentre Amoroso già si era tolto la maglietta convinto di uscire. Sapevo che potevano farcela a giocare a tre, lo provavamo in allenamento per emergenza».

L’emergenza divenne storia...

«Vincemmo, in settimana mi cercarono fior di squadre, l’Udinese aveva già praticamente preso Malesani. Era venerdì sera. Come sempre chiusi il telefono dopo le 22. Arrivò il mio vice Agresti a suonarmi a casa: “Zac ti sta cercando Piazzolla”. Chiamai Carlo il ds e mi disse che i Pozzo volevano tenermi e che a Parma la domenica avrei rinnovato il contratto».

E in Emilia si chiuse la settimana santa...

«I giocatori erano tesissimi, non sapevano chi avrebbe giocato. In ascensore incontrai Poggi e Amoroso, il loro sguardo parlava chiaro: chi sarà il prescelto tra noi due? Quando diedi la formazione c’erano tutti e due accanto a Oliver, dietro la difesa a tre: il più era fatto. Sapevano cosa fare».

E l’asticella si alzò.

«Quando i giocatori sono convinti di poter fare una cosa il più è fatto. Eppure, pensi che a Udine, appena arrivato, dovetti andare a parlare ai tifosi perchè non avevo voluto tenere il loro idolo Fausto Pizzi».

Mister, altre due chicche del suo triennio in bianconero?

«L’altro giorno mi ha mandato dall’Africa i saluti Appiah. Anche lui mi chiama papà. Venne qui giovanissimo dal Ghana a fare un provino con la Primavera. Niente di che, doveva ripartire ma noi avevamo una amichevole infrasettimanale e io non avevo abbastanza giocatori. Me lo lasciano lì a far numero. A venti minuti dalla fine gli faccio chiedere all’altro ghanese Gargo in che ruolo giocasse: centrocampista. Ricordo ancora tutto».

Sicuro?

«Sì, palla recuperata davanti alla difesa e lancio di 40 metri all’attaccante, imbucata e mette l’attaccante davanti alla porta e poi gran tiro all’incrocio. Alzo le mani e urlo: chiudete le porte, questo resta qui. Anni dopo, io che non ho mai avuto un procuratore, venne qui a Cesenatico il procuratore Dario Canovi. Si sedette là (indica un tavolino fronte mare, ndr). “Piacere, sono Dario Canovi, sono qui per ringraziarla, per quel giorno in più di Appiah ho guadagnato un sacco si soldi».

Passò al Parma per 20 miliardi. Gargo invece fu sfortunato.

«Io, figlio di albergatori, da piccolo mi divertivo a cambiare i ruoli alle figurine dei calciatori. Ci giocavo per ore. Con l’Udinese andavamo a metà settimana a fare amichevoli in provincia. Lontano da occhi indiscreti, mi divertivo a sperimentare. A Gradisca d’Isonzo dissi a Gargo di giocare il secondo tempo da difensore centrale invece che a centrocampo, ne avevo intuito le grandi potenzialità. La scena è questa, Bertotto e Calori stralunati lo vedono andare in difesa e lui placido risponde loro: “Mister detto io come Baresi”. Se non si fosse rotto il crociato a Genova il giorno dopo avrebbe firmato per il Milan di Capello».

Mister, arrivederci a Udine.

«Da voi ho lasciato il cuore. Tornerò presto, magari per quella volta avranno già alzata l’asticella».

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