Udinese tra business e tradizione
Paolo Poggi parla del passaggio di consegne tra l’Udinese dei Pozzo e il fondo Usa: «Chi arriverà dovrà mantenere equilibrio: questa è una realtà ultracentenaria»

«Chi arriverà in Friuli dovrà mantenere equilibrio: si può fare business, ma senza trascurare la tradizione di società ultracentenaria».
Perché l’Udinese è radicata sul territorio. Un aspetto che Paolo Poggi conosce benissimo. Questa la riflessione che l’ex attaccante bianconero porta avanti in relazione alla vendita dell’Udinese al fondo di investimento statunitense.
Il 54enne veneziano conosce le proprietà a stelle e strisce, essendo stato dirigente del Venezia nella gestione di Joe Tacopina prima e di Duncan Niederauer dopo. Sono giorni decisivi per il passaggio di consegne tra la famiglia Pozzo e i nuovi acquirenti Usa, con Gino Pozzo impegnato nella gestione sportiva e, in particolare, operativo sul mercato.
Poggi, dal punto di vista degli investimenti e del rifacimento delle strutture sportive, si può dire che le proprietà americane hanno fatto bene al calcio italiano.
«Sotto il profilo organizzativo e, appunto, di investimenti, sono d’accordo. Nel caso dell’Udinese direi che, per quanto concerne gli impianti, la famiglia Pozzo ha fatto molto. Già negli Anni 90 le strutture erano un passo avanti al tempo. Poi sono state ulteriormente affinate. Poi va considerato quanto è stato fatto con lo stadio. Migliorare le infrastrutture sarà difficile per chi arriverà».
A Venezia la proprietà Usa, tra i vari interventi, ha rinnovato il quartiere generale del club, frutto della riqualificazione del centro sportivo Taliercio.
«Tanto è stato fatto anche a livello organizzativo. Si è poi dato visibilità al brand. Certo, a Venezia, è diverso, perché si valorizza più il nome della città, che della società calcistica. Dal punto di vista sportivo posso dire che non siano mancati i problemi. Al modo di fare calcio in maniera tradizione si sono sovrapposte idee poche pratiche».
Si riferisce alla scelta dei giocatori fatta anche grazie agli algoritmi?
«A mio avviso questo sport non è una materia fredda, ma è “calore”. Lo è anche nella fase di costruzione della squadra. Vanno trovati gli equilibri. La parte sportiva non è solo numeri, ma anche una questione di pancia. Tante idee arrivano grazie all’intuito».
È una parte del modus operandi della vecchia scuola dei direttori sportivi come Sabatini, Corvino, Sartori.
«La parte tecnica, da chi arriva, non va trascurata. E poi non bisogna oscurare la tradizione. Ci sono società in Italia a riguardo ricche, come l’Udinese. Chi prende il comando di un club, per me, deve fare business senza dimenticare questo aspetto: non va considerato un fatto secondario, è importante tanto quanto l’aspetto tecnico e finanziario. E la società bianconera, per esempio, è radicata sul territorio. Il calcio è un gioco, una passione e un business. Se si riesce a far collimare tutto, va bene».
Nell’Atalanta sono entrati capitali americani a grazie a Stephen Pagliuca, ma il braccio operativo è rimasto in mano alla famiglia Percassi. I Pozzo, per lei, devono rimanere in società?
«Bisogna capire cosa vogliono fare. A prescindere però che siano o meno i Pozzo, che si vada verso una scelta che vede impegnato chi conosce il calcio italiano e la sue peculiarità».
Tra i giocatori, da chi dovrebbe ripartire l’Udinese?
«Va prima capito il progetto della nuova proprietà. A ogni modo ripartirei da Lucca, da chi è inserito nell’ambiente Udinese come Lovric, da Thauvin e da uno come Karlstrom: mi è piaciuto il suo ingresso».
La stagione bianconera 2024-’25 come va archiviata?
«In maniera positiva, anche se c’è stata troppa differenza di rendimento tra la prima parte di campionato e la seconda»
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