«Se vogliamo i campioni vanno aiutate le famiglie»

TARVISIO. Le Olimpiadi coreane hanno confermato che lo sci di fondo italiano non fa più parte dell’élite mondiale della disciplina. La sola medaglia d’argento conquistata da Pellegrino nella sprint è stata l’unico lampo azzurro. E stando agli altri risultati, con i nostri atleti e atlete lontani dal podio, le prospettive non sono al momento rosee. Cosa che invece non succede nel biathlon... «Già. Mi ha emozionato la prestazione al poligono di Lisa Vittozzi: una giovane con la sicurezza di una veterana». Sono parole di Giorgio Di Centa, il bicampione olimpico di Torino 2006, responsabile tecnico dei materiali al Centro sportivo dei carabinieri, al quale abbiamo chiesto un parere sulla crisi del fondo.
Dunque un bilancio inferiore alle attese o più di così non si poteva pretendere?
«Non mi sento di esprimere critiche a chi lavora per tenere alto il prestigio dell’Italia – afferma Giorgio Di Centa, il bicampione olimpico di Torino 2006, responsabile tecnico dei materiali al Centro sportivo dei carabinieri –; il fondo è uno sport difficile e anche da questi risultati è evidente che si sta facendo sentire la mancanza di materiale umano su cui costruire un team competitivo, all’altezza di tenere testa alle altre nazioni. Ciò che non mi è piaciuto è che per questa stagione non è stata impostata la squadra nazionale A femminile, limitandosi al gruppo delle under 23».
Quindi, più che un problema tecnico è un problema strutturale?
«Indubbiamente. I paesi di montagna si stanno spopolando e forniscono sempre meno giovani allo sci; troppi giovani, poi, sono costretti ad abbandonare l’attività sportiva che ormai ha costi insostenibili per le famiglie e le società sportive con il loro preziosissimo volontariato, possono fare tanto a livello promozionale giovanile, ma sono impotenti, quando all’atleta è richiesto di affrontare le spese di trasferte e alberghi, per proseguire l’attività agonistica».
Cosa fare per imprimere una svolta alla negativa tendenza?
«In primis vanno aiutate le famiglie a sostenere l’attività sportiva dei figli che spesso davanti alla scelta di vita fra carriera sportiva e scuola scelgono appunto la via più logica per un domani sicuro».
Quand’è il momento critico?
«Sui 15-16 anni, quando dalle gare regionali chi ha buone qualità tecniche per migliorare deve frequentare i circuiti nazionali e internazionali, con costi esorbitanti per le loro famiglie».
Quale può essere un suo consiglio per ovviare al rischio di perdere per strada potenziali talenti?
«Inserire le giovani promesse in un progetto particolare per seguire i ragazzi e consentire loro di gareggiare senza pesare su famiglie e società».
In proposito hanno un ruolo importante i gruppi sportivi militari?
«Certamente, ma in questi ultimi anni per difficoltà economiche, i gruppi militari hanno ridotto del 70% gli ingressi e attualmente aprono le porte solo ai giovani migliori e così chi a 18 anni non s’è ancora espresso, e, nel fondo si è visto che la maturazione avviene anche sui 25 anni, è costretto a lasciare l’agonismo e chissà quanti potenziali campioni perdiamo. Sopratutto le ragazze devono essere aiutate. Le donne vanno incontro a sacrifici e rinunce superiori a quelle degli uomini e di questo bisogna tenerne conto».
In regione, il fondo giovanile sta dando grosse soddisfazioni...
«Sono bravi atleti che dobbiamo aiutare a maturare per avere da loro le grandi soddisfazioni».
Anche sua figlia Martina è una promessa...
«Si impegna e fa le cose con serietà e non posso che apprezzare quanto fa».
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